Walidah Imarisha (storica, giornalista, formatrice, scrittrice, docente universitaria, poeta) è una donna la cui attività non può certo essere contenuta nelle definizioni che ho messo tra le parentesi. Che nome posso dare al suo insegnare a scrivere poesia e a fare giornalismo alle donne in prigione e alle ragazze e ai ragazzi nei riformatori, e agli anziani e alle anziane nei centri comunitari e alle bimbe e ai bimbi nelle scuole? Come chiamo il coinvolgimento con band punk e hip hop e il dividere un palco con Angela Davis, Nikki Giovanni, Ani DiFranco e innumerevoli altre/i? E la regia di documentari? E i sei anni nel Comitato centrale per gli obiettori di coscienza? E l’essere co-fondatrice della Coalizione per i diritti umani? “Attivista” è corretto, ma in realtà dice poco di tutta questa energia in movimento, della capacità di interagire con gruppi diversi e di destreggiarsi come una magnifica acrobata fra tante abilità. E il motivo per cui sono indotta a parlare di lei, un altro progetto, non l’ho neppure ancora menzionato: Walidah sta attualmente curando con Adrienne Maree Brown un’antologia di fantascienza che si chiamerà “La prole di Octavia: storie di fantascienza dai movimenti per la giustizia sociale”. E di seguito ci sono le ragioni per cui lo fa.

“Durante un’intervista negli anni ’80, a Octavia Butler fu chiesto come si sentiva ad essere LA scrittrice nera di fantascienza per antonomasia. E Octavia replicò che non aveva mai desiderato quel titolo. Disse che voleva essere una delle centinaia di scrittrici nere di sf. Il suo desiderio, disse ancora, era che migliaia di persone scrivessero sf e tracciassero se stesse nel futuro.

Quando la mia co-editrice ed io abbiamo cominciato a lavorare su “La prole di Octavia: storie di fantascienza dai movimenti per la giustizia sociale”, non sapevamo neppure di star rispondendo alla richiesta di Octavia; sapevamo solo che percepivamo il potere, il potenziale e la necessità di fantascienza visionaria. La fantascienza è vitale come l’aria per le nostre comunità di colore, per il futuro della Terra: sf, fiction speculativa, fantasy ecc., sono i soli generi che ci permettono di fare un passo oltre i confini e le regole di questa società, di questo mondo, e di rinnovare completamente la visione di presente e futuro.

Questa è la premessa dell’antologia. Abbiamo oltre 20 attivisti per il cambiamento sociale che hanno scritto storie usando la fantascienza per esplorare questioni che vanno dal cambiamento climatico al colonialismo alla “guerra al terrorismo”. Abbiamo anche due saggi, uno di Tananarive Due e uno di Mumia Abu-Jamal. Molti di questi organizzatori, attivisti e visionari non avevano mai scritto fantascienza prima. In effetti, alcuni di loro ci risposero all’inizio con scetticismo e trepidazione: Non l’ho mai fatto, non credo di saperlo fare, non saprei neanche di che scrivere.

Noi sapevamo però che non era vero, perché quel che abbiamo chiesto loro riguarda il lavoro che fanno ogni giorno. Tutto il lavoro di organizzazione è fantascienza. Come sarebbe un mondo senza povertà? Senza prigioni? Come sarebbe un mondo in cui ognuno ha abbastanza cibo e vestiario? Non lo sappiamo. E’ fantascienza, un mondo che ci è estraneo come il pianeta natale dei Klingon (che si chiama Q’onos, in caso ve lo stiate chiedendo). Ma essere capaci di averne una visione, di immaginarlo, significa che possiamo cominciare a intravedere i passi che ci porteranno fin là.

Infatti, dopo pochi giorni, le persone che avevamo contattato hanno cominciato a chiamarci, esaltate per aver già scritto 15 pagine e più: parecchi stanno ora lavorando a romanzi nati da questo progetto, perché le storie che stanno scrivendo vivevano tutte dentro di loro, e quello di cui avevano bisogno era un po’ di spazio per venire al mondo.

Ovviamente, ci sono stati e ci sono un mucchio di film e libri che creano un futuro in cui le diseguaglianze e la gerarchia sono replicate. In effetti, il saggio di Mumia Abu-Jamal per il libro analizza Star Wars nel contesto dell’imperialismo statunitense, ricordandoci che dobbiamo affrontare e decostruire questo tipo di narrativa. Per marcare la differenza dalla sf reazionaria (e anche per evitare le polemiche intellettualoidi su cosa si qualifica o meno come fantascienza), noi chiamiamo i lavori ne “La prole di Octavia” fiction visionaria. Consideriamo la sf visionaria quando guarda il mondo attraverso gli occhi degli oppressi, quando è cosciente delle diseguaglianze istituzionali nel potere, quando il cambiamento comincia dal basso invece che dall’alto e avviene collettivamente e non grazie all’eroe solitario, quando sa delle identità che si intersecano nelle nostre esperienze.

Perché chi proviene da comunità che hanno storicamente sperimentato oppressione e trauma, ognuno di noi, di voi, siamo e siete fantascienza. I vostri antenati hanno sognato di voi, e piegato la realtà per crearvi. Per Adrienne e me, due donne nere, c’è il pensiero dei nostri antenati in catene, che sognano il giorno in cui i figli dei figli dei loro figli saranno liberi. Erano creatori visionari di fantascienza e alchimisti. Sognando di noi hanno raccolto il coraggio, la forza, l’abilità e la creatività per riformare il mondo intero, per darci alla luce. E questa è una grande responsabilità. Spesso si pensa alla fantasia come frivola, indulgente, egoista. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Octavia Butler ci ha presentato una sfida nell’intervista summenzionata: siamo abbastanza coraggiosi per affrontare la realtà del mondo in cui viviamo? Possiamo far crescere sogni da tale realtà, come fiori selvatici fra le crepe dei marciapiedi? Siamo forti abbastanza per rendere reali quei sogni?”

L’antologia uscirà nel giugno 2014, in onore del compleanno di Octavia Butler (22.6.1947 – 24.2.2006) e il suo lancio sarà un tour statunitense che includerà letture, seminari di scrittura, sessioni di organizzazione per il cambiamento sociale, e feste basate su temi fantascientifici. “E’ importante, – spiega Walidah – che questo viaggio abbia molteplici volti, perché deve riflettere la complessità delle vite, delle realtà e delle necessità delle nostre comunità, e creare spazio affinché tutti possano partecipare a questo sogno collettivo. Perché grazie alle eredità lasciateci dagli antenati e dai più anziani, come Octavia e tanti altri, quando ci impegnamo in questo lavoro diventiamo tutti parte della prole di Octavia.” Maria G. Di Rienzo

P. S. Di Octavia Butler, per quel che ne so io, sono stati tradotti in italiano alcuni racconti e i seguenti romanzi: Patternmaster (1976), La nuova stirpe (Mind of my mind, 1977), Sopravvissuta (Survivor, 1978), Legami di sangue (Kindred, 1979), Seme selvaggio (Wild seed, 1980), Incidente nel deserto (Clay’s Ark, 1984), Ultima genesi (Dawn, 1987), Ritorno alla Terra (Adulthood Rites, 1988), Imago (1989), La parabola del seminatore (Parable of the Sower, 1993), La parabola dei talenti (Parable of the Talents, 1998).

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