Mi dispiace infastidirvi con faccende private, tuttavia l’idea che io scriverei da un salotto è ascritta in modo pubblico ad un’attività pubblica – questo blog – e voi 219 “seguaci” e lettori/lettrici occasionali avete il diritto di sapere la verità. In questo momento ho, com’è ovvio, lo schermo di fronte, un armadio e un comodino sulla sinistra, un lettino alle spalle e una finestra alla destra. Svariati ammassi di carta (libri, riviste, ritagli di giornale, stampe) adornano lo scarno mobilio. Non c’è nient’altro. Se qualcuno volesse accomodarsi, potrebbe sedere sul letto o per terra, o prendere una delle quattro sedie della cucina, ma difficilmente direbbe di essere ricevuto in un “salotto”: e tanto basti per la planimetria.

A livello simbolico, invece, chi pensa e dice che scrivo da un salotto intende innanzitutto ricordarmi i miei privilegi. Vivere sotto il livello di povertà è uno di essi. Grattarsi un ginocchio e vedere la stoffa che si sbriciola perché i pantaloni sono troppo vecchi è un altro. Sperare che le suole non si stacchino dall’unico paio di scarpe chiuse disponibili quando si esce di casa è un altro ancora. Non a tutti è dato fare simili esperienze, lo ammetto. Se invece sono intesi come privilegi l’avere un cervello funzionante e l’essere capace di mettere le parole l’una dietro l’altra avendo come risultato delle frasi sensate, vorrei suggerire a chi lo pensa di non prendersela, giacché è inutile combattere il caso o il destino: di sicuro costei/costui ha abilità differenti in abbondanza, più che sufficienti a non invidiare le scarse mie.

In secondo luogo, gli/le aficionados del salotto desiderano significarmi che io non avrei esperienza alcuna di una vita “vera”, quella che danno ad intendere di fare loro con tale premessa – senza sapere nulla di cos’altro faccio io quando non scrivo (anche se molto sarebbe desumibile proprio da quel che scrivo, ma non voglio chiedere troppi sforzi a cotali filosofe/i). Spessissimo, non sanno nemmeno come mi chiamo e inventano: Maria Grazia, Maria Giovanna, Maria Giuliana… Mi attribuiscono appartenenze, amicizie, intenzioni, desideri, progetti occulti; interpretano, immaginano, leggono fra le virgole perché le righe non bastano, saltano la logica e il buon senso e l’educazione di base come in un percorso ad ostacoli e purtroppo finiscono per sparare cazzate immani (tra l’altro, sovente neppure in un italiano accettabile).

La cosa strana è che io non interagisco con queste persone. Non ho alcun interesse nei loro confronti. Non voglio la loro attenzione, meno che mai la loro approvazione. Più spesso che no, so a stento della loro esistenza. Non vado a commentare i loro articoli o prodotti, non mi diletto delle battaglie di pettegolezzi su Facebook (ci sono buoni motivi per cui rifiuto di avere una pagina e li ho già spiegati qui), non esercito pressioni su qualcuno perché riposti i miei pezzi o prenda la mia parte, e – a differenza di molte/i aficionados del salotto – non sono paranoica e non faccio la stalker-via-mail. Non ho quindi ben chiaro il motivo di tanto fastidio: chi vi obbliga a venire a leggere quel che scrivo? Siete davvero così sfaccendate/i nel vostro salotto? Maria G. Di Rienzo

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Potrei costruirmene uno anch’io, così, ma ci vogliono 2.600 palloncini. E dei palloni gonfiati, sapete, ne ho proprio abbastanza.

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