Parte della ragione per avere un movimento femminista anziché l’impresa femminista solitaria è che non si tratta della spinta di una persona per ottenere successo, gloria e potere. Si tratta di tutte noi che lottiamo insieme. E sapete cosa significa? Significa che quando una di noi cade, quando una di noi ha bisogno di una pausa, quando una di noi ha condotto una battaglia ed è sotto attacco, il resto di noi si fa avanti e la sostituisce. Abbiamo persino una parola per questo. Si chiama sorellanza.” Caroline Criado-Perez (17 ottobre 2013 – tanto per rinfrescare la memoria.)image

Certo che è strano. Credevo di essere piuttosto in minoranza come scrittrice di fantascienza. Invece salta fuori che praticamente ogni quotidiano del mainstream italiano ne ha in forze una o ne ospita una. Trattasi di donna iconoclasta, eretica, “fuori dal coro”, trasgressiva, che denuncia… il declino in autonomia e deontologia professionale del giornalismo? No. La corruzione diffusa in politica/economia? Neppure. L’abbandono di ogni tutela del lavoro? Ma figuriamoci. I livelli stratosferici di violenza contro le donne? Ah, be’. Bisogna distinguere.

Assai più coraggiosamente, queste figure denunciano in modo reiterato l’insopportabile e soffocante moralismo che pervade la società italiana e di cui tutte/i avrete sicuramente fatto esperienza: è assai comune, ad esempio, avere agenti della buoncostume che frugano negli scomparti dell’armadio alla ricerca di biancheria intima non regolamentare, e la pubblicità sembra ossessionata da immagini di scafandri, sacchi informi e vergini di Norimberga in cui rinchiudere i corpi umani… Non si vede più neppure un gomito scoperto. La colpa? Delle femministe. O meglio, delle femministe bacchettone, retrograde, sbagliate, odiatrici di uomini, disinformate, ostili, liberticide, frigide, confuse, che hanno invaso ogni sede decisionale ad ogni possibile livello, imposto all’Italia la loro bigotta visione del mondo ed attrezzato una spietata magistratura che vuole impedire alle minorenni di divertirsi e perseguita un noto miliardario pregiudicato. Difatti, sui media a tiratura e diffusione nazionale, il 99% degli interventi di donne su femminismo, libertà femminile, violenza di genere, prostituzione… è di competenza delle iconoclaste e trasgressive, nonché a volte femministe “vere” o “giuste” o “intellettualmente superiori”, che denunciano questo orrendo stato di polizia.

Ripeto, è strano. Non mi tornano i conti. Perché, se il nostro paese è regolato da una narrativa biecamente moralista e dittatoriale, lo spazio di parola appartiene pressocché in toto alla, diciamo, controparte? Perché sugli stessi giornali non leggo mai un solo intervento, lettera, articolo o ultimatum delle dominatrici moraliste? A meno di star parlando di uno scenario fantascientifico: allora è a posto, se ciò di cui faccio esperienza non risponde nemmeno per una virgola a ciò che le alfiere della libertà raccontano è perché stanno descrivendo un mondo alternativo, e non quello in cui vivo io. Sapete, ci sono però in giro menti più suggestionabili della mia: non sarebbe male se dopo aver scritto del pianeta-che-vi-siete-sognate-stanotte aggiungeste la nota a piè di pagina che dice “Questo accade a Phurbonax, pianeta orbitante nel sistema di Upsilon Andromedae – Nebulosa di Andromeda”. In questi giorni dovreste farlo, a parer mio, per almeno tre motivi.

1) Perché in Italia i bambini NON stanno imparando a scuola che “ogni corpo nudo conduce alla violenza” e i corpi nudi delle intrattenitrici e delle pubblicità non sono proprio classificabili come “ogni”: sono un mix (assai minoritario) di chirurgia plastica e photoshop e rispondono a criteri molto precisi di “estetica” – cioè di soddisfazione dello sguardo maschile. Una mia amica, questa sì davvero un po’ iconoclasta, dice ad esempio che è facilissimo ottenere il peso delle modelle, basta fare una dieta di sperma e crack.

2) Perché se qualcuna/o oggi 25 novembre – Giorno internazionale contro la violenza sulle donne – decide di vestirsi di rosso o di mettere un panno rosso alla finestra, NON sta inneggiando alla “vittimizzazione” o degradando un colore che un tempo era il simbolo della lotta blah blah. Sta manifestando il suo impegno contro la violenza e il suo dissenso sulla violenza in un modo che può non piacervi, e che nessuno vi obbliga ad imitare, ma chi sta facendo retorica sulle vittime siete voi: perché usate il termine come un tratto della personalità invece che nella sua corretta definizione di “persona che fa/ha fatto esperienza di violenza nei propri confronti”. Il pensiero neo-liberista, se avete notato, le “vittime” le odia: parlare di vulnerabilità immediatamente punta nella direzione di una società ingiusta, per cui meglio fare un tabù del parlare di vittime: se non ci sono vittime, non ci sono offensori. Una visione un po’ stronza, a parer mio che sono un’illetterata retrograda ecc. ecc., ma se preferite, diciamo… cinica e fredda e falsa e interessata e autoritaria? Non si accoppia bene comunque all’eresia trasgressiva fuori dal coro ecc. ecc., purtroppo. A meno che non sia sommamente innovativo e rivoluzionario dire a chi si è presa le botte o ha subito lo stupro: “E non ti vittimizzare, perdinci, su con la vita!”, e quando finisce in una cassa di mogano ripetere scuotendo il capino: “Eh, poveraccia, era una debole, facevala vittima, non può che biasimare se stessa, glielo avevo detto di star su con la vita…”

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3) Perché il fatto che, sempre oggi in occasione del 25 novembre, alcune donne abbiano definito la loro azione “sciopero” non giustifica la tonnellata di accorati e indispettiti distinguo sul termine. Infatti NON è vero che per avere uno sciopero sia necessario identificare “il datore di lavoro”, essere maestranze e che l’azione sia sempre diretta contro la direzione dell’azienda: i lavoratori e le lavoratrici, storicamente, hanno scioperato e scioperano contro manovre economiche governative, contro la guerra, per rovesciare regimi, in solidarietà con altre categorie (studenti, prigionieri e perseguitati politici). E gruppi e singoli/e hanno attraversato e attraversano scioperi per qualsiasi causa – dalle condizioni di detenzione alla costruzione di dighe – e in una notevole varietà di sistemi: scioperi della fame, scioperi dell’uso di mezzi di trasporto pubblici, scioperi dei consumi. Siete sicuramente abbastanza istruite (dopotutto gestite autorevoli rubriche su quotidiani) perché non vi sia necessario ricevere queste informazioni da me: se ne deduce che il vostro disagio deve originarsi altrove. Ditelo apertamente, magari una soluzione diversa dal noioso deprecare ad libitum un “moralismo” inesistente si trova. Maria G. Di Rienzo

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