Da tanti anni mi occupo e mi preoccupo di usare l’italiano in modo che non oscuri le donne, anzi che le faccia vedere, che mostri il loro impegno e il loro valore. Questo tipo di violenza linguistica sembra avere meno importanza rispetto alla violenza fisica e psicologica. E invece vorrei provare a dimostrare che usare parole e frasi offensive e discriminanti contro di noi, non renderci visibili in un discorso o in un articolo e quindi non valorizzarci, soprattutto in ruoli produttivi ai livelli più alti della scala sociale – architetta, ministra, sindaca – non crea solo un danno culturale ma anche economico a noi e all’intera collettività.

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