Quando si parla di Amazon, anzi, quando si critica Amazon in Italia si viene accusati di essere dalla parte dei poteri forti (!) dell’editoria, e dunque di contrastare il diritto del lettore a pagare poco un libro e il diritto dell’autore ad autopubblicarsi. Proteste, se permettete, da cortiletto: perché a forza di rivendicare quel che dovrebbe spettarci in prima persona e di infischiarcene di tutto il resto siamo dove siamo (dove siamo? Ditemelo voi). E negli altri paesi? Le cose stanno in modo leggermente diverso. Qui sotto, l’articolo di Federico Rampini per Repubblica di oggi: che riporta quanto si dice nei media americani e inglesi. Poteri forti pure loro? E sia, ma forse qualcosa di vero c’è,  no?

Un editore americano la paragona al Padrino. Un grande giornale la definisce la Piovra. Un documentario della Bbc, girato in segreto nei suoi stabilimenti, descrive sfruttamento e ritmi ossessivi da “Tempi Moderni” di Charlot. Amazon è il nuovo volto del capitalismo americano? Innovativa, flessibile, lungimirante e visionaria, ma anche spietata. A 20 anni dalla fondazione, tre libri usciti a poca distanza l’uno dall’altro, e un’inchiesta del New Yorker, cercano di fare luce su un’azienda talmente misteriosa che, al confronto, la Apple dei tempi di Steve Jobs era trasparente. Amazon ha un fatturato di 75 miliardi annui, eppure nessuno sa esattamente quali siano le fonti di guadagno. Il numero dei suoi dipendenti (molti dei quali stagionali, part-time, con contratti a termine, sottopagati) è un segreto industriale. La creatura che Jeff Bezos cominciò a costruire nel 1994, viene additata come un Moloch inarrestabile, capace di divorare interi settori, stritolando la concorrenza. E non solo nei libri. Chi ancora identifica Amazon con la vendita dei libri online, è indietro di molti capitoli. «Le vendite di libri ormai rappresentano solo il 7% – racconta George Packer su The New Yorker – oggi Amazon vende proprio di tutto: iPod o tagliaerba, giocattoli e opere d’arte, pannolini o scarpe, stampanti 3-d, armi da fuoco, perfino vibratori ». È il supermercato online per eccellenza, vero concorrente di Wal-Mart, il numero uno della grande distribuzione. E a differenza di Wal-Mart non si limita affatto a vendere: affitta, produce in proprio. L’inchiesta del New Yorker mette in fila questo elenco di nuovi mestieri. Amazon con il boom del suo lettore digitale Kindle è ormai un’azienda manifatturiera di hardware elettronico come Apple. È una utility che noleggia servizi, dai video a domicilio in streaming fino al “cloud” informatico per custodire grandi quantità di dati. È una casa editrice, offre agli autori di pubblicare libri saltando l’intermediazione dei vecchi editori. È una casa di produzione cinematografica e televisiva in concorrenza con Time Warner e Paramount (ma anche con YouTube di Google). È un magazine di recensioni letterarie, anche se tutt’altro che “indipendente”. E di recente il fondatore e chief executive Bezos ha anche deciso di comprarsi il più importante giornale della capitale, il Washington Post. In 20 anni di storia tumultuosa, l’espansione da un settore all’altro può apparire disordinata. Invece c’è un filo conduttore, che fa di Amazon il paradigma di un capitalismo nuovo. Anzitutto un capitalismo senza profitti, o quasi. Forse come scelta transitoria, e tuttavia ormai ventennale, quest’azienda fa degli utili ridottissimi. Eppure a Wall Street il modello di Bezos piace moltissimo e la performance delle sue azioni nel lungo periodo è spettacolare. In Borsa vale più di Coca Cola e AT&T. Quel che conta per Amazon è crescere a gran velocità, invadere nuovi settori, travolgere i concorrenti fino a creare il deserto (o quasi) attorno a sé. L’uso dei libri è esemplare. Bezos intuì nel 1994 due cose: che l’industria editoriale era in una crisi profonda a causa di Internet, quindi vulnerabile; e che i lettori sono un bersaglio importante perché sono una fascia medioalta dei consumatori. Il libro era il cavallo di Troia, un modo per impossessarsi di informazioni preziose su di noi, i nostri gusti, i nostri interessi. E ovviamente anche il nostro indirizzo e la nostra carta di credito. Prima ancora di Google e Facebook, fu Amazon a capire che nell’economia digitale la risorsa strategica sono i dati sui clienti. Una volta conquistati quelli, tutto diventa possibile. E in molti campi Amazon punta a replicare la strategia “non si fanno prigionieri” che ha usato con successo nell’editoria: facendo fallire metà delle 4.000 librerie indipendenti e costringendo gli editori a praticarle sconti fino al 53%. Un business nuovo come la lettura digitale è finito sotto il suo controllo con il Kindle che ha il 65% del mercato. Di questi successi non traggono beneficio i dipendenti, in un’azienda dove il sindacato è vietato, e nei maxi-magazzini i commessi spedizionieri devono esaurire un ordine ogni 33 secondi. Wal-Mart, per i suoi comportamenti anti-sindacali, almeno si attira addosso l’antipatia dell’opinione pubblica progressista. Bezos ha inventato lo “sfruttamento invisibile”, in un business dove il consumatore è solo in casa davanti allo schermo di un tablet o di uno smartphone, a fare la spesa in un cyberuniverso asettico e (apparentemente) senza lavoro umano.

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