Vi avevo fatto cenno in questi giorni. Una giovane e assai brillante blogger, che si firma Malitia e gestisce Dusty Pages in Wonderland, si è iscritta a Ask.fm per esperimento. Le ho chiesto di raccontarlo a Lipperatura, ed ecco le sue riflessioni.

Tutti hanno un motivo per odiarti: su Ask, sull’odio e sulla gestione dei social network. di Malitia Wonderland

La relazione del singolo con la società – o del singolo con l’alterità – è la prova più difficile che l’individuo si pone quotidianamente. I rapporti interpersonali costituiscono una rete fitta, effimera, una partita a scacchi in cui “l’altro” è un avversario da sondare. Relazionarsi quindi con qualcuno all’inizio della conoscenza comporta uno studio, talvolta inconsapevole, della psiche e della sensibilità altrui: parliamo cautamente e, se esprimiamo giudizi, cerchiamo di individuare i sentimenti dell’altro per non offenderlo. Il rapporto con l’alterità, dicevo, è una sfida che inizia all’asilo, continua a scuola – lo scontro con i compagni e l’autorità – sfocia nel mondo del lavoro. Nel frattempo abbiamo imparato a mostrare o a nascondere alcuni lati di noi – quelli spiacevoli, quelli fragili – e a farne emergere altri, o addirittura inventarli. I social network rielaborano quelle che sono le tattiche di relazione, sono campi aperti dove esibirsi e mostrare la propria personalità – vera o fittizia che sia – e dove, protetti dallo schermo e dal contatto assente con l’oggetto dell’interazione, è facile lasciarsi andare ai più disparati commenti. Il riserbo e l’inibizione a cui siamo soggetti davanti a una persona reale spesso sparisce. Così, se i più imprudenti e ingenui usano facebook come un diario, quasi sfogare la propria emotività in una piazza pubblica non avesse ripercussioni nei pensieri e nelle azioni di chi legge – e chi legge ride, giudica, trae le proprie considerazioni – c’è chi invece utilizza il proprio profilo come un perfetto alter ego. Se si è un personaggio noto o microfamoso diventa quasi d’obbligo: le parole verranno lette, interpretate e male interpretate. Sono un’arma a doppio taglio, l’esempio perfetto di come, ad ogni azione, ne corrisponda una uguale e contraria. Gioco molto con le parole e le reazioni degli altri. La provocazione è la via più semplice per ottenere feedback e per testare il metro della propria visibilità o della sensibilità del “pubblico” del social network. Pensate che basta un commento caustico su un libro, riportato su un gruppo Facebook, per spingere una persona con cui non hai mai nemmeno parlato a bloccarti. La sincerità brutale raramente viene apprezzata e, se non porta a uno scontro immediato, un flame, suscita reazioni come blocco e cancellazione del “nemico”. In questo caso, si deve ponderare anche il tipo di amici presenti nella propria cerchia. Un post perfido o insinuante potrebbe risultare popolare quanto impopolare (il numero di “mi piace” è proporzionale al successo dell’esperimento e serve a valutare con che tipo di persone abbiamo a che fare), uno stato in cui molti si identificano avrà un numero altissimo di approvazioni, ma sono soprattutto quelli che condividono informazioni e pezzi di vita personali a suscitare il maggiore successo. L’annuncio di aver preso trenta all’esame universitario avrà più like di quello in cui dico che un dato libro è da buttare – se invece dico che il libro è meraviglioso, i “mi piace” aumenteranno esponenzialmente, ma non arriveranno mai al numero dello stato sul trenta. Sull’onda dei miei soliti esperimenti, ho quindi deciso di iscrivermi per un breve periodo sul noto social Ask.fm, conscia di quello che avrebbe comportato: esporre alla massa anonima un individuo che pecca di consapevole arroganza, pronto a non tirarsi indietro davanti alle considerazioni sulla pessima offerta di una certa editoria attuale, che per di più è un blogger e quindi esprime giudizi piuttosto fermi, severi e sentenziosi su libri di cui è oggettiva la scarsa qualità ma che risultano tuttavia molto amati, significava mettersi alla gogna. Ma c’è una verità imprescindibile che ognuno dovrebbe tenere a mente in qualsiasi momento: tutti hanno un motivo per odiarti, qualsiasi sia il tuo carattere e il tuo modo di porti. Anche la più stucchevole, disponibile, dolce e sensibile persona del mondo ha un hater. E su questo tornerò più avanti, quando valuterò le conseguenze di uno strumento come Ask nelle fasi adolescenziali. In cosa Ask è diverso da Facebook? Nell’anonimato, naturalmente. Se su Facebook, nonostante la virtualità, siamo tutti individuati da un nome, un cognome, una reputazione, Ask è il lasciapassare per sfogare la propria frustrazione senza che nessuno venga a saperlo. L’iscrizione da parte mia ha subito comportato un collasso di domande, finalizzate a offendere dal punto di vista personale: ho lasciato trasparire su Facebook, senza nessuna vergogna, che ai tempi dell’esordio di Twilight – si parla del 2006, quando anche io, all’età di circa quindici anni, avevo scoperto l’urban fantasy – ne ero stata grande fan, tanto da scrivere fan fiction (in realtà non ho mai scritto fan fiction su Twilight, essendo le mie erano tutte originali, e l’esperienza come fan è stata una delle più utili della mia vita nel capire che la scrittura non era fatta per me, e nel comprendere anche quali siano i meccanismi che agiscono in una testa fertile e ingenua di adolescente nel momento in cui si imbatte in un prodotto come quello della Meyer). La domanda che giunge immediatamente è:

Quanto ti senti patetica all’idea di fingere di odiare i romanzi mainstream quando in realtà scrivevi ficcine simil-twilight?

E, subito dopo,

Mi hai beccato! Perciò, se sai chi sono, sai anche che secondo me scrivi pessimamente? Giusto per onorare il tuo amore per gli avvebi che finiscono in ‘ente’ :’)

Come immaginavo, la prima reazione dell’anonimo – che non è affatto anonimo, visto che grazie all’errore grossolano sugli avverbi in “ente” (quelli che alle scuole medie ti dicono chiamarsi avverbi in “mente”) è stato smascherato poco tempo dopo su Facebook, mentre lamentava le stesse lacune su un altro libro e reiterava l’errore – mira a smontare le mie continue critiche sui romanzi dal gusto discutibile. Ma gli anonimi non si fermano, facendo sgorgare offese, accuse, insinuazioni non corrispondenti al vero, cercando di smontare la fiducia in chi mi circonda e che ho le prove non può essersi comportata in quel modo (“Io ho il link delle tue ficcine, dato che la tue care amiche lo spacciano in privato alla gente ridentoti dietro e dandoti della sfigata”). L’anonimo, insomma, attua delle strategie minatorie: in mancanza di argomenti – l’anonimo raramente ha argomenti, ti odia per partito preso – si aggrappa a particolari insignificanti, cercando di bruciarti la terra attorno. L’anonimo cerca anche di farti esprimere giudizi su altri, cerca la zizzania, lo scandalo dietro cui barricarsi per ridacchiare e godere dello spettacolo: anche non riuscendoci, instilla negli altri il sospetto che sia stato tu a porti da solo la domanda pur di fare polemica su una data persona. L’anonimo è anche sensibile alle provocazioni: è facile portarlo al limite, farlo scoppiare, indurlo a dare il peggio di sé. D’altronde non ha inibizioni, stuzzicarlo significa dargli il destro per vomitare un risentimento spesso del tutto immotivato. Posso anche andare sulla bacheca di una persona in cui si sta svolgendo il flame e indurlo a venire da me con un commento:

Epic fail malitia. Andare sull’ask di Leo per attirare i suoi Haters su di te perché ti annoi? Ma torna sul tuo blog a parlare del ruolo della letteratura, va. Ruolo della letteratura nel 2013, ahahahah.

Stai andando di merda, ma sempre meglio rispetto al blog, di merda

Gli anonimi-hater sono quindi piuttosto manipolabili: la conversazione può essere spostata nelle zone che si preferiscono, e farle arrivare a un punto di non ritorno. Si verificano persino situazioni paradossali in cui gli hater si confondono tra di loro e non si attribuiscono le responsabilità di quello che ha detto un altro. I miei hater colpiscono ovviamente l’area intellettuale, quella che espongo con il blog: tendono a sminuirla o a offenderla. Mi piacerebbe sapere se questa attività rilascia delle endorfine nel cervello che procurano piacere, e sono quasi sicura che sia così: l’hater gode nel pestare il nemico. Probabilmente, se volessimo tracciare un profilo psicologico, si tratta anche di individui vili, ipocriti e fondamentalmente insicuri, che non avrebbero il coraggio di dire una parola oltre lo schermo. Non conoscono i miei difetti fisici, perché il mio volto rimane anonimo, ma sarebbe curioso sapere se e quanto si esporrebbero da quel punto di vista – intanto ho raccolto stranissime dichiarazioni d’amore rivolte al mio ragazzo, che mi fanno pensare a un troll. Ma se i troll fossero tutti così, ne sarei contenta.

Per quanto riguarda la mia persona, l’immagine della blogger suscita questo tipo di reazioni. Parlo proprio di immagine perché, come accennavo all’inizio, i rapporti interpersonali, soprattutto sui social network, sono complicati e ti costringono a misurare ogni parola, che poi potrà essere utilizzata contro di te – in special modo su Ask. Il gioco dell’immagine e della maschera sociale sui social network è così complesso da essere talvolta poco gestibile. Come dicevo, c’è una sorta di imprudenza e di ingenuità in cui lo usa come un diario. Gli adolescenti fanno di più: non usano soltanto Facebook come un diario, ma addirittura You Tube. Moltissimi non hanno capito che c’è l’esigenza pregnante di non esporsi più del dovuto: non parlo soltanto di foto, ma anche di stati dove emerge tutta la loro sofferenza. Gli adolescenti sfogano, piangono, si arrabbiano su Facebook e You Tube, diventano vittime della crudeltà di hater che, insultandoli, si sentono meglio con loro stessi. La violenza verbale si riversa anche su Ask. Non è certo Ask l’unico colpevole, quanto l’assenza di regolamentazioni su Internet e di un’educazione responsabile – sia da chi subisce l’hater che da chi lo è. Non attribuisco ovviamente nessuna colpa alle vittime: mi chiedo soltanto come possa saltare in mente a un ragazzo di piangere e urlare davanti a una videocamera perché l’ex ragazzina lo ha lasciato e ora parla male di lui. Convergono diversi fattori: la solitudine, l’incapacità di comunicare, la disperazione davanti a una situazione che appare tragica. Eppure, in queste circostanze, spiegare ai più giovani che utilizzare i social network significa gestire tra le mani il proprio rapporto con gli altri – cosa che forse alcuni totalmente ignorano – aiuterebbe a non farli diventare prede non solo di coetanei senza scrupoli, ma anche di estranei. Il bullismo va oltre, non c’è bisogno di dirlo: mi sto limitando a parlare di quello di tipo virtuale, che nasce al di là della stretta compagnia scolastica. Quest’ultimo è il caso di Ask, in cui difficilmente si intromettono estranei e che è indirizzato a far sfogare chi ti conosce da vicino. Le conseguenze di un simile strumento nelle mani di una persona cattiva o talmente insicura da provare odio sono inqualificabili: se la psiche di chi maneggia questi social è debole o particolarmente sensibile, Ask è la freccetta acuminata del tiro al bersaglio. Se certe volte persino io, che ho le spalle ben coperte e mi sono iscritta consapevole delle conseguenze, ho provato fastidio per certe domande e, per una frazione di secondo, mi sono chiesta se avessero ragione, posso soltanto immaginare quanto sia devastante per un ragazzino l’attacco simultaneo di numerosi anonimi che ti fanno sentire una nullità: non sai che c’è sempre qualcuno che ha un motivo per odiarti, al di là di qualsiasi cosa tu faccia. Il mio esperimento mirava a individuare la misura e la qualità degli hater che attraggo. In particolar modo, volevo capire su quali aspetti sono facilmente attaccabile e a che punto gli anonimi potessero arrivare - contrariamente alle mie aspettative, ho attratto più riferimenti alla mia vita personale che a quella di blogger. Ciò che ne ho evinto è stato un profilo generale della figura dell’hater, forse non abbastanza approfondito come avrei voluto. E tuttavia, un mese di permanenza sul social network preferito dagli adolescenti è bastato a farmi scappare a gambe levate. Perché, dopo le risate e l’autoironia scaturite da commenti illogici e senza fondamento a cui tra l’altro ero ben pronta, la massa degli anonimi su Ask comincia a inquietare: hai l’impressione che quella della gogna non sia affatto una metafora e che, nonostante tu sia conosciuta solo per un nickname, la folla sarebbe pronta a sbranarti e rosicchiare le ossa – una figura enorme, indistinta e oscura che aspetta una mossa falsa alle tue spalle.

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