Se ne parla per un paio di giorni e poi si passa ad altro. Ma l’8 febbraio ci sarà comunque la manifestazione contro la legge Fini-Giovanardi, anche in vista del pronunciamento della Corte Costituzionale previsto per il 12. Su leggeillegale.org appello e informazioni. Per cominciare, ospito qui l’intervento di Daniele Poto, giornalista, scrittore, già autore di un importante dossier su Azzardopoli per Libera. Lo ringrazio per la disponibilità e il tempo regalato.

Quattro pesi e altrettante misure. Dipendenze da droghe più o meno di Stato, verificando l’ipocrisia istituzionale, di chi, facendo adeguato e involontario uso di un termine in voga (appunto, doppiopesismo) ben diversamente regola i commerci e le accise su cui fonda le proprie economie. Uno Stato schizofrenico e con molte facce. A volte proibizionista, a volte spacciatore. Sempre pronto a mostrare un volto e un atteggiamento politico diverso per consumo e pubblicità. Sull’azzardo la demagogia è presto svelata. Nessuno si arroga la parte del proibizionista ma semmai quella di chi vorrebbe che il fenomeno fosse delimitato e non propinato con non modiche quantità. Lo sfascio è sotto l’occhio di tutti. Il terzo paese al mondo per movimentazione d’azzardo, il primo in Europa e per la dimensione del Gap (la compulsività, una malattia), ancora il primo per la diffusione di Gratta e Vinci (45 tipi al momento in un frastagliato commercio), ancora il leader per il consumo online nel vecchio continente. Diremo anche il primo e inarrivabile per l’ìngannevolezza degli slogan, pure a portata di correzione di Authority e Garante. Mendace un tagliando che si chiama “Megamiliardario” (e chi mai ti premierà con miliardi di euro?) oppure, per il tradimento semantico nelle seduzioni del “Gioca facile”, “Gioca sicuro”, “Vinci facile”, “Gioca responsabile” in cui il sostantivo “gioco” meriterebbe di essere salvato e riscattato dal corto circuito dell’ossimoro nell’espressione “gioco d’azzardo”. Dunque è in questo versante che lo Stato fa il biscazziere, tiene il banco e vince ma più per la filiera del gioco che per sé è vero che a fronte di una raccolta di 85 miliardi (dato alla fine del 2013) ne ha salvati solo 8 dagli appetiti ingordi dei concessionari e dei gestori, per non parlare delle mafie che si garantiscono un fatturato perlomeno doppio. Un secondo e diverso capitolo è quello del tabacco: filone redditizio in cui la pubblicità è proibita (gravi le conseguenze a suo tempo per la F 1 su cui le multinazionali del tabacco grandemente avevano investito). Qui l’ipocrisia di Stato porta a scritte vere e inquietanti sui pacchetti in commercio con annunci di morte (il tumore ai polmoni è indebellato) e avvisi su un depotenziamento di fertilità. Un richiamo costituzionale all’art. 32, la difesa e la salvaguardia della salute? Niente affatto. Solo una clausola per preservare i produttori da una possibile class action, fatti salvi i limiti di quest’azione in un paese come l’Italia. Qui l’accisa vale 14 miliardi, un robusto 25% dell’enorme partita di giro in cui il consumo di benzina la fa ancora da padrona (24 miliardi di gettito). Il terzo giro ci fa buttare l’occhio sull’alcool, causa di morte e di dipendenza. Qui regnano pubblicità discrete e subliminali: contenimento, più che prevenzione e proibizione. Salvo provvedimenti delle Prefetture in occasione di partite a rischio, avviso nei locali, kit “fai da te” per l’autoregolamentazione. Infine il campo più stridente, quello delle droghe leggere dove la legge Bossi Giovanardi è un chiaro atto proibizionista. Bisognerebbe guardare con più coraggio all’esperienza di alcuni Stati americani, dove le tasse sul prodotto legalizzato già rendono qualcosa come 4 miliardi di dollari o all’esperienza dell’Uruguay. Magari buttando un occhio alla potenzialità di una cancellazione della legge che avrebbe l’effetto di un indulto senza sofferenza e polemiche, mettendo in libertà circa 23.000 soggetti rispetto ai 67.000 detenuti attuali, restituendo alla collettività, cittadini e elettori che hanno pagato con la carcerazione un regime di stridente severità, addentrati un percorso giudiziario in cui non sarebbe per definizione entrati in gran parte dei paesi del mondo, compresi paesi europei d’imperfetta democrazia. Il legislatore, affiancato dal parametro della società civile, dell’utile sociale, dovrebbe guardare senza paraventi ideologici questi quattro grandi serbatoi d’incasso, evidentemente non strumentalizzando il proprio intervento. Il mainstream attuale è l’esatto contrario. Il delegato all’azzardo del Ministero dell’Economia è quel Giorgetti, fiero sostenitore dell’avanzamento della scommessa di Stato. Al capitolo droghe leggere ha fatto giurisprudenza Giovanardi, imbattibile e irremovibile proibizionista. E i partiti, cosiddetti progressisti, fanno fatica a cambiare perché gli interventi legislativi in questo campo (e come si fa a non considerare prioritario un intervento per mafie ed evasione fiscale) si annunciano lenti e tiepidi. Rimane il sospetto fondato sul peso determinante delle lobby. Certo non ultima quella Vaticana che adesso incide profondamente alla voce “Curia” anche sulla difficile opera di ricostruzione nel martoriato Abruzzo post-terremoto.

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