Non è possibile in un solo libro restituire il senso di un intero secolo. Eppure Corrado Stajano ci va molto vicino in un testo anomalo come La stanza dei fantasmi, che non è un romanzo, non è un saggio, non è un memoriale e insieme è tutto questo. E’ un viaggio all’indietro nella propria storia familiare e nella Storia attraverso gli oggetti che si trovano nella sua libreria: una fotografia del padre con le medaglie della Grande Guerra, una cartolina con l’Auriga di Delfi che lo riporta al giorno del Golpe dei colonnelli, un pezzo di legno rosso che era in realtà un modellino industriale donatogli dal padre di Walter Alasia, e così via. Nel racconto del sangue, dei mutamenti, delle utopie, anche, che ci siamo lasciati alle spalle altro non c’è che racconto e ricordo, che scivola dall’io al noi senza soluzione di continuità. E c’è una poesia, nel finale, che vorrei riproporre qui, anche per chiudere una settimana in cui si è discusso della necessità di narrazioni nuove, e di parole che, ogni volta che vengono pronunciate, vengono svuotate di senso o caricate di senso opposto. La poesia è questa.

Dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi più potente che mai. Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza invincibile. E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo. Siamo sempre di meno. Le nostre parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua.

Bertolt Brecht, “A chi esita” Traduzione di Franco Fortini

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