Un momento, fermi, calma. Perché cresce la sensazione che si stiano usando le parole sbagliate, da parte degli scrittori editi e visibili, per fronteggiare quella che da una parte è una crisi accertata del sistema editoriale così come lo conosciamo, e dall’altra è la crescita continua della valanga di opere autopubblicate che trasformano (anche) i lettori in scrittori. E che certamente saranno almeno in una piccola percentuale (ma forse in una grande percentuale, vai a sapere)  molto più degne di tanti testi visibili in libreria, ma sono difficilissime da scovare, nel mare magnum di titoli e nella confusione volutamente generata da classifiche e consigli e algoritmi di Amazon. Nel giro di pochi mesi, abbiamo avuto l’amaro saggio di Giuseppe Culicchia, E così vorresti fare lo scrittore?, e, a distanza ravvicinatissima, l’intervento di Antonio Scurati su La Stampa e il videodi Gianrico Carofiglio che avverte che scrivere non è facile, non è divertente, ma è faticoso. Contemporaneamente, però, è tutto un fiorir di guide e manuali, in edicola come quello diFabbri, on line quasi ovunque, gratuiti e no. Dunque, il monito degli scrittori pubblicati, che lo vogliano o meno, suona, ahinoi, come un’autodifesa. E invece non dovrebbe essere così. Bisognerebbe, semmai, mettere in guardia chi si autopubblica dai cento tranelli che gli vengono tesi: agenti improvvisati che saltellano di bacheca in bacheca per cogliere l’attimo e l’autore (e i suoi soldi), case editrici che spuntano dal nulla, agenzie di editing gestite da chi avrebbe a sua volta urgente necessità di essere editato, recensori a pagamento, venditori di critiche positive, e così via. E dall’altro versante bisognerebbe pretendere non solo , come fa Scurati, l’improvvisa inversione di una tendenza all’overbooking che dura da anni (qui se ne parlò nel 2011, ma se ne è parlato su carta, in rete, ci sono stati modelli “decrescenti” proposti e messi in atto da piccoli e medi editori, e così via), ma uno stramaledetto progetto editoriale che non sia, semplicemente, quello di racimolare qualche spicciolo per non chiudere la baracca o la trovata di portare i giocattoli in libreria, ma che chiarisca cosa, almeno, si vorrebbe fare e soprattutto chi si vorrebbe essere. Nei due post precedenti ho insistito sulla necessità di una contronarrazione: vale per la politica e per i femminismi (non basta più un clic, non basta più dire “siamo indignati”). Vale per l’editoria. Perché altrimenti si gioca perennemente in difesa, mentre i guru dell’autopubblicazione amazoniana (tutt’altro che disinteressati, si insiste sul punto) come Joe Konrath hanno buon gioco nelprofetizzare “morirete tutti” (già sentito, lo so). Parole nuove, per favore: sarà anche faticoso trovarle, come dice Carofiglio, ma in fondo le parole (e il pericolo) sono il vostro-nostro mestiere, no?

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