Bisognerebbe arrivarci prima. Prima dell’approvazione in Spagna dellalegge che azzera il diritto delle donne di interrompere la gravidanza. E prima che l’annunciato piano sul lavoro renziano divenga realtà. Perché mettere insieme le due cose, apparentemente lontanissime? Perché anche nel secondo caso c’è un diritto che viene messo in discussione (l’articolo 18, soft o meno), e che viene considerato un ostacolo alla piena occupazione. Vi diamo lavoro, che altro volete? Il punto è arrivarci prima. Perché quel che è avvenuto in Spagna, e che potrebbe avvenire anche in Italia, dove sotterraneamente la legge sull’aborto è già vanificata per eccesso di obiezione, non giunge a caso. Perché il lavoro dell’ala dura del cattolicesimo, spesso sottovalutata come espressione del fanatismo di pochi, è stato ed è  lento e costante, esattamente come avviene da noi. Perché - ne discutevo qualche giorno fa con un’amica attivista - le parole ci stanno sfuggendo, le stiamo consumando in una spirale di azione-reazione che rischia di non sortire più effetto. Intanto, altre parole si affermano. Non è per sollevare la polemica di Natale, visto che non di polemiche abbiamo bisogno ma di azioni, ma varrà la pena di leggere quanto un deputato italiano, ex Pd, ex renziano, scrive (su Facebook) sull’aborto. Parlo di Mario Adinolfi:

“Come sapete ho avuto due figlie: Clara A. e Livia A. sono nate in circostanze non ordinarie, seppure a tanti anni di distanza l’una dall’altra. Livia è la prima, quando nel 1995 scoprimmo di aspettarla eravamo una giovanissima coppia di ventiquattro anni, precario io, precarissima lei. Il giornale per il quale scrivevo, cattolico per giunta, mi cacciò meno di un mese dopo la sua nascita lasciandomi letteralmente per strada. Silvia scoprì che stava per arrivare Clara a ventitré anni, da studentessa fuori sede non laureata per la quale certo in famiglia c’erano aspettative molto diverse che vederla “incastrata” con un quarantenne romano dal curriculum sentimentale agitato, che già aveva figliato e non sembrava la fotografia dell’affidabilità.

Racconto queste vicende personali perché spesso alla base della decisione di abortire sento raccontare motivazioni simili: difficoltà di natura economica, precarietà lavorativa e/o esistenziale, tentativo di non turbare percorsi di vita o di studio predeterminati dalla famiglia di origine, inaffidabilità del partner. Ho sentito con le mie orecchie anche ragioni più risibili. Gli oltre centoventimila bambini che non nascono solo in Italia pur essendo stati concepiti vengono eliminati per ragioni incomparabilmente meno rilevanti della grandezza di una storia che inizia, di una persona che si affaccia alla vita.

In Europa si è discusso con una certa ferocia di un “diritto umano fondamentale” ad abortire. Io credo che l’unico diritto umano fondamentale sia quello di nascere. Guardo Livia e Clara, ricordo le difficoltà di natura diversa in cui sono nate, ricordo la fatica dell’accettare di stravolgere la propria vita individuale e di coppia per far posto a loro nel nostro mondo, ricordo tutti i motivi per cui qualcuno ci ha anche ventilato l’ipotesi dell’aborto. Guardo Livia e Clara, penso a quale diritto avrebbe mai potuto esserci per sopprimerle, per impedire lo svilupparsi della loro grazia, per dire no al loro diritto a vivere che era incommensurabilmente superiore al nostro diritto a qualche comodità in più, di genere vario.

L’aborto non è un diritto. So che a noi maschi molte spiegano che addirittura non esisterebbe un nostro diritto a parlarne, che d’aborto possono parlare solo le donne. C’è un versante sensato di questa affermazione, che sta dentro lo spirito del libro che state leggendo: solo una mamma conosce pienamente lo sconvolgimento che la vita che nasce crea nella vita che già c’è. Ma una mamma nell’intimo non può non sentire la voce della vita che ha in grembo, che le grida silenziosa: “Voglio te”. Voglio la mamma. Non la donna. Una donna può chiedere di avere il diritto di abortire. Una mamma non può neanche immaginarlo.

Quando è nata Livia gli strumenti tecnologici erano limitati, nel 2010 quando è nata Clara gli strumenti ecografici fin dalla prima visita ci restituirono l’immagine del suo essere: se guardate la prima foto scattata nel grembo di Silvia riconoscerete da subito il profilo sbarazzino e quel naso a patatina con cui è venuta al mondo. Spiegatemi bene, signori che contate le settimane, fino a quale giorno ritenete che quell’essere umano possa essere eliminato dalla faccia della terra. La prima foto di Clara credo sia della sua ottava settimana di vita. Era lei, bellissima e indifesa. Una donna, aggiungo una donna di sinistra, non potrebbe mai immaginare di fare del male a un essere così fragile, debole, bisognoso della cura più estrema. Chi è di sinistra sta con il più debole e il più debole è sempre un bimbo che grida silenzioso, nel momento in cui sorge il dolore del dubbio: voglio la mamma. Non è un grido che può rimanere inascoltato.

Chi è di sinistra non mette in discussione le normative vigenti, la cosiddetta libertà di scelta, la legge 194 in Italia che assicura alla donna la possibilità di abortire. Ma una donna abortisce, una mamma no. Non parlatemi di diritto all’aborto, parlatemi di tragedia del dover abortire. Trovatemi motivazioni decenti perché io non ne trovo in una società comunque sostanzialmente opulenta come la nostra: volete dire che se quest’anno fossero nati i centoventimila bambini e più che avete abortito non avrebbero avuto di che nutrirsi, sarebbero morti di fame? Suvvia, non fate ridere.

Chi abortisce lo fa perché non vuole veder turbato il proprio status quo, chi abortisce è il più estremo dei conservatori. Il progressista vede nella vita l’opportunità di una nuova storia che comincia e sa che nessuna razionalità può segnare un momento in cui quella storia a inizio che non sia l’istante del concepimento quando l’amore trasforma un uomo e una donna in una carne sola che si fa vita. Solo in quell’istante può essere rintracciato l’inizio della storia di ciascuno di noi, inventarsi la quattordicesima settimana o il novantesimo giorno per segnare un macabro confine tra morte possibile e vita inevitabile è semplicemente senza senso. O si ha un diritto di abortire sempre o non lo si ha mai. Io credo non lo si abbia mai. Va bene che una legge consenta di farlo, perché davanti a comportamenti sociali ormai invalsi non si risponde con l’oscurantismo della proibizione ricacciando alcune donne nello strazio ulteriore dell’aborto clandestino, ma non parlatemi di diritto. E la 194 applichiamola tutta, magari come stanno facendo in Spagna, tornando indietro dopo la sbornia di Zapatero che non ha portato bene alla sinistra iberica, che aveva pensato di innalzare la libertà delle donne consentendo anche alle minorenni di abortire senza informare i genitori o per qualsiasi ragione a qualcuno passasse in mente, entro cento giorni dal concepimento. Ora in Spagna rimane la libertà di scelta, ma per ragioni che abbiano un minimo di senso: stupro, gravi motivi di salute della madre, gravi malformazioni del feto.

Non utilizzerò qui l’argomento secondo cui, se dotate di amniocentesi, le madri di Stephen Hawking e Michel Petrucciani avrebbero probabilmente privato il mondo della nascita di due dei più grandi geni del ventesimo secolo. Voglio però tornare a sottolineare un elemento a cui ho già precedentemente accennato. Un mio amico albino che ormai va per i cinquant’anni, docente universitario di intelligenza sopraffina che ha un fratello altrettanto intelligente e altrettanto albino, mi ha fatto notare che in Italia negli ultimi dieci anni il numero di albini nati si conta sulle dita di una mano. La cultura dell’amniocentesi e delle diagnosi pre-impianto fa sì che l’alterazione cromosomica che genera sindromi appunto come l’essere albini o Down porti quasi automaticamente alla decisione di abortire. E’ accettabile una selezione eugenetica di questa portata? E’ progressista, è di sinistra, abbattere il bambino più debole, quello che più a bisogno di cure, negargli il diritto a esistere? Viene prima il suo diritto a nascere o il diritto della donna a non essere disturbata alla vista di un bambino anomalo?

Voglio la mamma, la mamma che accoglie, la mamma che al cucciolo più debole riserva il doppio delle attenzioni. Non è di sinistra distogliere lo sguardo e consegnare al nulla una vita nascente, solo perché non si incastra perfettamente con le nostre esigenze.

La vita arriva quando meno te l’aspetti, per sorprenderti e cambiare la tua.

Fate figli, che tutto il resto alla fine conta poco”.

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