Il rapporto Nielsen sulla lettura diffuso ieri mattina è uno dei più drammatici degli ultimi anni, che lo si voglia o no. Non è sorprendente, come vedremo, e magari il grido d’allarme doveva venire prima e venir accompagnato da contromisure sensate sulla promozione della lettura, su una progettazione editoriale non esclusivamente legata al fiuto dei direttori commerciali e marketing, su una politica inclusiva di costo del libro, valorizzazione delle librerie, lotta al monopolio, opposizione ai vincoli europei sull’IVA sugli ebook, e molto altro. In breve, per chi avesse perso i dati. Nel triennio 2011-2013 calano sia i lettori (dal 49% al 43% della popolazione) che acquirenti (dal 44% al 37%). Quel 37% ha acquistato almeno UN libro. I lettori forti fanno la parte del leone: il 4% della popolazione ha acquistato il 36% delle copie vendute nel 2013. La maggior parte di quel 37% è diplomato o laureato, vive al Nord o al Centro, è donna (il 41% contro il 33%). Inoltre. La pesca con le bombe inaugurata tre anni da Newton Compton ha portato a un risultato prevedibile, anche qui, e che non necessariamente ha a che vedere con la crisi economica, ma con l’idea che un libro è qualcosa che si deve e si può pagare poco. Dunque, più della metà dei libri acquistati è compresa nella fascia di prezzo medio-bassa: il 28% riguarda i titoli sotto i 5€, il 31% quelli tra i 6€ e i 10€. E’ vero, aumentano i volumi in prestito: il 43% della popolazione ha letto almeno un libro (22,4 milioni di lettori, per un totale di 153 milioni di copie lette). Ma si cala, a precipizio. E si sapeva. Qui i dati

ANNO LETTORI ACQUIRENTI 2011 49% 44% 2012 46% 41% 2013 43% 37%

Calano drammaticamente i lettori giovani: dal 70% al 60% nella fascia 14-19 anni, dal 52% al 40% in quella 20-24. A crescere sono i lettori ultrasessantenni: dal 33% nel 2011 al 38% nel 2012 al 39% nel 2013. Calano i laureati

ANNO LIC. ELEMENTARE LIC. MEDIA DIPLOMA LAUREA 2011 30% 47% 59% 75% 2012 32% 45% 54% 69% 2013 29% 42% 49% 60%

Infine, gli ebook crescono, ma non abbastanza da compensare i dati precedenti: crescono acquirenti (+14% rispetto al 2012) e lettori (+17%).

Davanti a cifre di questo tipo, c’è una prima considerazione da fare che sembra circoscritta a un settore: ma dal momento che quel settore ha fin qui, contutti gli errori che si vuole, tenuto in piedi un sistema, la considerazione va fatta lo stesso. Il mondo dell’editoria rischia l’osso del collo: avviene da anni, ora non è smentibile. E non rischiano solo i manager (che forse non rischiano affatto, a ben vedere): rischiano editor, traduttori, librai, uffici stampa, tutta la cosiddetta filiera. Probabilmente per chi non vede l’ora di ballare sui cadaveri della “vecchia casta” del libro in favore delle magnifiche, progressive sorti del self publishing, questa è una buona notizia. Ma sugli esigui guadagni derivanti dal self publishing (per chi scrive, non certo per Jeff Bezos) si è scritto talmente tante volte che mi annoio da sola a ripetermi.

Ma poniamo che quel mondo debba comunque finire, e che gli scrittori dovranno fare a mano di anticipi e royalties. Molti se ne infischiano, diciamo la verità. Anzi: molti pensano che sia il momento di spazzare via quello che ieri, su Twitter, è stato definito “gotha intellettuale”, che ciarla col mignolo alzato mentre  ” io me spacco er culo 12 ore al giorno” (cit.)  e in spregio a chi  “per aver caricato sulle spalle 400 Kg di calcestruzzo o calcinacci, crepa per sonno” (cit. pure questo).

E qui siamo a un discorso già fatto, di nuovo: c’è stato un momento in cui, in questo paese, chiunque si occupi di pensiero e, sì, anche di libri, è stato identificato (da destra e da sinistra, da sopra e da sotto) come un parassita della società, come  qualcuno che non si occupa dei problemi VERI, e che ovviamente passa il tempo sui soliti divani di vimini delle solite terrazze romane. Ammettiamo che sia vero (e non lo è se non in una parte così risibile e ininfluente che viene buona sono per le parodie e i pettegolezzi su twitter). Non è il presunto potere di quel presunto gotha che dovrebbe riguardarci. E’ il potere della lettura. Se diminuisce la capacità di lettura, siamo spacciati. “Esagerata”, brontolava uno scrittore nella serata social di ieri.  E allora ritiriamo fuori Tullio De Mauro, certamente esageratissimo, che da anni ripete quanto segue:

“Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”.

Sono le stesse cose che ci ha rimproverato l’Unione Europea, come detto in un postdi pochi giorni fa. Perdere la capacità di lettura significa perdere la capacità di essere cittadini. Ieri, su twitter, ho discusso con Luca Sofri su questo punto. La posizione di Luca Sofri è nota da diverso tempo: su Wittgensteinha già parlato della marginalità crescente del libro in questo post. Non sono d’accordo (pazienza): su qualsiasi supporto, cartaceo o digitale, il libro permette una complessità linguistica e soprattutto la possibilità di far propria quella complessità che siti, blog, filmati su web non consentono ancora. Mani avanti: non sto dicendo che il web sia superficiale e che il libro “in generale” non lo sia: ci sono libri (tanti) che non competono, quanto a intelligenza e profondità, con molti post. Ma il web non è sostitutivo del libro, così come il libro non lo è del web (ancora con gli apocalittici e gli integrati, cinquant’anni dopo? No, dai). E se non ci sono le competenze di lettura (dai libri, dalla scuola, negli anni della scuola e dopo), quale web si frequenta? Sto dicendo, insomma, che se la competenza degli italiani in fatto di lettura è minima (vedi Tullio de Mauro) e che quegli italiani comprano e leggono libri in misura sempre minore (vedi Nielsen), non credo affatto che si riversino in massa in rete a leggere dotte dissertazioni, o anche dissertazioni non dotte, o anche luminose spiritosaggini. Leggono (probabilmente, perchè qui non ci sono, che io sappia, dati) status, tweet, guardano filmati, ascoltano musica, scaricano serie televisive. Tutte cose belle, buone e giuste. Ma, ancora una volta, non sostitutive di un libro. Che poi dentro la parola “libro” ci siano anche e spesso solenni porcherie, siamo tutti d’accordo.  Ma servono anche quelle: purché, certo, non si finisca a pubblicare solo quelle sperando che seducano un non lettore che è altrove. E non sono convinta che quell’altrove serva a diventare un paese migliore.

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