La letteratura è l’arte di porre domande, di cambiare se stessi mentre si scrive, di conoscere i propri limiti, diceva ieri David Grossman a Libri Come in uno dei discorsi più belli sulla scrittura che abbia mai ascoltato.  La letteratura cambia il tuo punto di vista, diceva, ricordando l’episodio di Madame Bovary dove Emma e Léon fanno l’amore per la prima volta, e non avendo luogo dove rifugiarsi noleggiano un fiacre, e chiedono al cocchiere di non fermarsi, e ogni tanto dalle tendine abbassate giunge l’ordine di continuare a vagare per la città. Se leggessimo su un giornale quella storia, diceva Grossman, saremmo la città che giudica. Ma se la leggiamo in un libro, siamo i due amanti. Penso alle parole di Grossman, stamattina, e penso all’impoverimento di termini come “letteratura” e “letterato”, ancora una volta. Non è semplice farsene una ragione. Ci sono paesi - il nostro - dove “intellettuale” è una parolaccia. Ci sono paesi - il nostro - dove sembra doveroso, per dire, tagliare le ore di storia dell’arte a scuola: “suicidio culturale”, mi ha detto una sbigottita Camille Paglia venerdì pomeriggio. Ci sono paesi - il nostro - dove le 95 tesisulla scuola elencate da Annamaria Testa sembrano una stravaganza. Ci sono paesi- il nostro - dove non si legge. Ne abbiamo parlato spesso qui, ne abbiamo parlato anche a Libri Come: sabato con gli editori (Riccardo Cavallero di Mondadori, Stefano Mauri di Gems, Sandro Ferri di e/o), i librai (Marcello Ciccaglioni di Arion), gli scrittori (Lidia Ravera nella prima tavola rotonda, gli esordienti - ormai navigatissimi - Giovanni Cocco, Simona Baldelli, Fabio Deotto, Marco Montemarano, Marco Cubeddu, nella seconda). Già, perché non si legge? La scuola, sostiene qualcuno. Mancanza di modelli adulti, sostengono altri. E poi: troppi libri, troppi libri brutti, troppe alternative per il tempo libero (smartphone, social, web). Mancanza di una legge: perché - e si è detto anche questo - gli editori non devono educare i lettori, non è il loro compito. Gli editori devono essere coerenti, hanno rilanciato alcuni scrittori, e far sì che si possa scrivere serenamente, senza dividersi fra mille micro-lavori per riempire il frigorifero. La risposta non è unica. Ma forse bisognerebbe partire dai primi passi. E cominciare a dire che leggere non rende snob, non rende antipatici, non ti fa sedere sui fatidici divanetti di vimini delle terrazze romane. Ti fa esprimere meglio. E ti fa toccare il cuore degli altri. Mica poco.

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