Sarà un week end impegnativo. Dopo la sontuosa tripletta di questo pomeriggio a Fahrenheit (John Grisham, Camille Paglia, Donna Tartt), questa sera alle 21 presento “Una stella incoronata di buio” di Benedetta Tobagi a Libri Come, Auditorium parco della musica, dove sarò anche domani alle 15 per moderare una tavola rotonda sulla lettura e domenica alle 15 (incontro con autori che hanno esordito nel 2013) e alle 17 (con Massimo De Nardo di Rrose Selavy e Franco Arminio, per presentare “Pupa” e “Il Topo sognatore”). Sempre domenica, alle 10.30, sarò con gli altri candidati della Lista Tsipras al gazebo per la raccolta firme in via Volturno angolo via Solferino. Vi lascio in compagnia di Stephen King, come spesso avviene. Questa è la parte finale di un racconto meraviglioso, “Herman Wouk è ancora vivo”, tradotto da Wu Ming 1 per Internazionale qualche anno fa. Dice di tutto quel che c’è da dire sull’inutilità e insieme sulla terribile forza della scrittura e della poesia. Lunghi giorni e piacevoli notti a voi.

Phil allunga il braccio e afferra la spalla di Pauline con la sua mano ossuta, facendola sussultare. Lei alza gli occhi dalla poesia e lo vede fissare l’autostrada. Ha la bocca aperta e gli occhi sembrano uscire dalle orbite, fin quasi a toccare le lenti degli occhiali. Lei segue il suo sguardo appena in tempo per vedere un furgone rosso scivolare senza scosse dalla carreggiata alla corsia d’emergenza e da lì alla rampa d’ingresso dell’area di sosta. Non fa la curva, va troppo veloce per quello. Attraversa la rampa ad almeno centocinquanta all’ora e risale il pendio proprio sotto di loro, finché non va a sbattere contro un albero. Pauline sente un grosso tonfo, e rumore di vetri infranti. Il parabrezza si disintegra. Frammenti di vetro scintillano per un istante nel sole e lei ha un pensiero blasfemo: bellissimo. L’albero taglia il furgone a metà. Qualcosa (Phil Henreid trova intollerabile l’idea che si tratti di un bambino) viene scagliato fuori, vola alto e ricade sull’erba. Il serbatoio del furgone comincia a bruciare, Pauline urla. Phil si alza e scende il pendio di corsa, saltando lo steccato come il giovane che era un tempo. In questi giorni, di rado riesce a scordarsi del suo cuore malato, ma mentre corre verso i rottami in fiamme, non ci pensa minimamente. Le nuvole gettano ombre sul campo, poi sulla boscaglia oltre la strada. I fiori selvatici dondolano il capo. Phil si ferma a quindici metri dalla pira funebre di benzina, il calore gli scotta il viso. Vede quel che si aspettava di vedere;: non ci sono superstiti… ma non si sarebbe mai immaginato così tanti «non-superstiti». Vede sangue sull’erba. Vede un frammento di vetro dei fari posteriori, simile a una macchia di fragole. Vede un braccio mozzato impigliato in un cespuglio. In mezzo alle fiamme, vede un seggiolino da bimbo che si sta squagliando. Vede scarpe. Pauline lo raggiunge. Sta ansimando. L’unica cosa più sconvolta dei suoi capelli sono i suoi occhi. «Non guardare.» dice lui. «Cos’è quell’odore? Phil, cos’è quell’odore?» «Benzina e gomma che brucia.» dice, anche se probabilmente non è quello l’odore che diceva lei. «Non guardare. Torna indietro e… Ce l’hai il cellulare?» «Sì, certo che ce l’ho…» «Torna indietro e chiama il 911. Non guardare. E’ meglio se non vedi.» Nemmeno lui vorrebbe vedere, ma non riesce a distogliere lo sguardo. Quanti sono? Distingue i corpi di almeno tre bambini e un adulto, probabilmente una donna, ma non può dirlo con certezza. Eppure, così tante scarpe… E tutti i vestiti… Vede una custodia di DVD… «E se non prendo la linea?» chiede lei. Lui indica il fumo, poi le tre o quattro macchine che stanno già accostando. «Non farà differenza, ma tu prova lo stesso.» Lei inizia ad andare, poi si gira. Sta piangendo. «Phil… Quanti sono?» «Non lo so. Tanti. Vai, Paulie, forse qualcuno è ancora vivo.» «No, e lo sai anche tu.» dice lei tra i singhiozzi. «Quel maledetto furgone andava troppo forte.» Barcollando, inizia a risalire il pendio. A metà strada tra l’incendio e il parcheggio (adesso arrivano altre macchine), un’idea tremenda le attraversa la mente e si volta a guardare, sicura di vedere il suo vecchio amico e amante steso nell’erba, forse con le mani al petto, forse già privo di sensi. Ma no, Phil è ancora là in piedi, con cautela gira intorno a una delle metà infuocate del veicolo. Pauline lo vede togliersi la bella giacca sportiva, quella con le toppe sui gomiti. Si inginocchia e la usa per coprire qualcosa. Forse una persona, o una parte di persona. Si rialza e cammina. Mentre sale il pendio, Pauline pensa che tutti i loro sforzi per creare bellezza nel mondo sono illusioni. O una beffa giocata a bambini che, egoisticamente, si sono rifiutati di crescere. Sì, probabilmente è così. Bambini come noi, pensa, si meritano le beffe. Quando arriva al parcheggio, ancora ansimante, vede la sezione «Cultura» del Times ruzzolare pigramente sul prato, sospinta da un refolo lieve. Non c’è da preoccuparsi. Herman Wouk è ancora vivo e sta scrivendo un libro sulla lingua di Dio. Herman Wouk pensa che il corpo si indebolisca ma le parole no. Quindi va tutto bene, giusto? Un uomo e una donna arrivano di corsa. La donna punta il suo cellulare e scatta una foto. Pauline osserva la scena senza stupirsi troppo. Più tardi, la donna mostrerà la foto agli amici, poi si faranno un drink e ceneranno e parleranno della grazia di Dio. La grazia di Dio appare integra, quando non tocca a te. L’uomo le grida in faccia: «Cos’è successo?» Succede che, sotto di loro, c’è un poeta vecchio e magro. Adesso è a torso nudo. Si è tolto la camicia per coprire uno degli altri corpi. Le costole spiccano sulla pelle bianca. Si inginocchia e stende la camicia. Alza le mani al cielo, poi le riabbassa e le unisce dietro la nuca. Anche Pauline è poetessa, e come tale si sente in grado di rispondere all’uomo nella lingua che parla Dio. «A voi che cazzo sembra?» dice.

Leggi tutto... http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2014/03/14/appuntamenti-del-week-end-e-la-lingua-di-dio/