Ancora sulle bambine, anzi sulle giovanissime donne. Ci vien dettoche la sessualizzazione precoce è argomento urgente. Sia. E sia consentito a chi scrive fare qualche autocitazione (da “Ancora dalla parte delle bambine”) sul contesto, e non sulle ragazze. So che mi perdonerete.

“Nel 1997,  uno studio americano aveva evidenziato che i primi sintomi di pubertà si anticipavano ormai tra gli otto e i dieci anni, anziché tra gli undici e i dodici. Tre anni dopo, i sessuologi italiani avvertono che il 15% delle bambine italiane tra gli 11 e i 14 anni ha già avuto un rapporto sessuale. Nel 2003 si parla apertamente di adultizzazione delle cosiddette tweens, le bambine fra nove e dodici anni: che già in seconda elementare, però, cominciano a far uso di profumi, passando ai cosmetici nel giro di un anno o due. Da tempo risulta evidente che nelle ultime classi delle elementari si guardano i programmi televisivi rivolti ai fratelli maggiori, e che Mtv è il canale di riferimento. Infine, ci si accorge che una quota notevole del 1500 spot pubblicitari mensili destinati ai bambini pubblicizza cosmetici per l’infanzia : lucidalabbra al bubblegum, paillettes per il corpo, ombretti, smalti per unghie. Nello stesso 2003, in America, i magazzini Bhs mettono in vendita una linea di biancheria intima per bambine dai sette anni in su che si chiama Little Miss Naughty (piccola signorina birichina), con piccoli reggiseni imbottiti ad emulazione del Wonder-bra e mutandine a cuoricini. Tre anni dopo, nel settembre 2006, sarà un lungo articolo di Salona stigmatizzare la linea di biancheria firmata Bratz e destinata alle bambine di sei e sette anni. Un portavoce dell’azienda produttrice replicò che quei mini-reggiseni, chiamati bralettes, erano stati pensati per indurre le bambine ad abituarsi con stile e modestia alla pubertà, e a nascondere più che a mostrare. A vergognarsi del proprio corpo, insomma, chiosò Salon. E, insieme, a imparare a sedurre”.

“Si chiama entry point. E’ il punto di ingresso alla marca. “Abbassare l’entry point - mi racconta Laura Minestroni, esperta di consumi e di marche - significa abbassare l’età del target”. Joe Camel, il cartoon-cammello che pubblicizza le sigarette, è un esempio perfetto di cosa significhi cercare di avvicinare i giovanissimi. In Italia, Red Bull (che produce bevande energetiche alla caffeina) ha ultimamente lavorato parecchio per ottenere lo stesso scopo: non solo attraverso il cartone degli spot, ma attraverso eventi, sponsorizzazioni, giochi. O addirittura, mi racconta mia figlia, con distribuzione di omaggi all’uscita delle scuole. Ora. Partiamo dal presupposto, già verificato, che il “tweening” (l’adolescenza retrodatata) sia un fenomeno noto e conosciuto: in sostanza, significa che i temi, i prodotti, i programmi televisivi rivolti apparentemente ai quattordicenni vengono in realtà fruiti dai bambini di 8 anni. E che gli autori e gli sceneggiatori lo sappiano altrettanto bene degli esperti di marketing che cercano di abbassare quel punto d’ingresso, sapendo quanto i bambini siano, ormai, consumatori indispensabili. La sociologa Juliet B. Schor fornisce in proposito qualche dato relativo all’America: nel 2004, la spesa per la pubblicità e il marketing rivolti ai bambini ha raggiunto i 15 miliardi di dollari, rispetto ai soli 100 milioni di dollari spesi per la pubblicità televisiva nel 1983. Nel 1989, i bambini fra i quattro e i dodici anni spendevano 6,1 miliardi di dollari ; ne spendono trenta nel 2004, con un aumento del quattrocento per cento. Comprano dolci, snack, bevande, giocattoli: in crescita vorticosa l’abbigliamento. Ancora. Fra i dodici e i diciannove anni hanno speso centosettanta miliardi di dollari nel 2002: una media di 101 dollari a persona ogni settimana. Infine. Nel 2001 un bambino medio ha memorizzato, a dieci anni, dalle 300 alle 400 marche. Spiega Schor che a metà degli anni Novanta iniziò un fenomeno interessante: le bambine comprese fra sei e dieci anni divennero improvvisamente più consapevoli delle etichette: “cominciarono a chiedere abiti firmati Hilfiger e Donna Karan”. In quel periodo nacquero le linee di abbigliamento per bambini di alcune grandi marche (Armani, Calvin Klein). Cominciò anche, e si diffuse rapidamente, la consuetudine al lusso adulto: un salone londinese offre alle bambine di otto anni “il Princess Treat, con taglio di capelli, manicure e minimassaggio del viso. Anche la chirurgia estetica si diffonde: Alissa Quart dice che tra la scuola elementare e media i bambini si sottopongono ad interventi estetici per migliorare gli occhi, le labbra, il mento e le orecchie”. Che le bambine consumino, è evidente. Come vengano rappresentate negli spot che le invitano a farlo, è interessante. Perché la regola numero uno del marketing, racconta Schor, è quella di procedere di pari passo con la psicologia evolutiva, e di seguire dunque i bisogni emotivi dei piccoli. Cominciando dal primo: la differenziazione fra i sessi: “il marketing sostiene che bambini e bambine amano prodotti diversi e necessitano di marketing distinti. A eccezione del cibo, tutti i prodotti sono soggetti all’analisi di genere”. (…) Quando, fra gli esperti di marketing, si parla di kid power, non ci si riferisce a quello che è obiettivamente diventato il maggior potere dell’infanzia: bensì a tutto ciò che s’insinua negli oggetti di largo consumo tradizionalmente nati per un target adulto. “Ti faccio un esempio – dice Laura Minestroni - Il pupo non mangia la carne? Facciamogli l’hamburger a forma di Topolino (il musetto di Mickey Mouse negli hamburger Montana, licenza Walt Disney). Il bimbo odia l’igiene orale? Semplice, Oral B si unisce a Winnie the Pooh. E’ food entertainment. Propp lo chiamava l’aiutante magico. Ancora. Walt Disney decide di sposare l’healthy food. E di boicottare McDonald’s. E allora, vai con Winnie the Pooh sulle mele e sulle banane, come fa il bollino di Chiquita, e basta con l’ Happy Meal, colpevole dell’obesità infantile. Negli Stati Uniti Walt Disney ha creato una linea di prodotti omeopatici per bambini Winnie the Pooh. Gentle and Naturals”. E all’interno di questo mondo-giocattolo troviamo, sorpresa, i tubetti di dentificio con tappi rosa e celeste. Disney, peraltro, è un caso esemplare per quello che riguarda il funzionamento della suddivisione in generi. Laura prosegue: “Così come le grandi multinazionali dei prodotti di largo consumo hanno un proprio portafoglio di marche e prodotti, suddivisi per target, Disney ha un vero e proprio portafoglio di personaggi suddivisi per fasce d’età. E poi per gender. Ha allargato all’età pre-scolare il proprio target. Fino ai sei anni non c’è distinzione di genere. Winnie the Pooh è uno di quei personaggi dedicati ad un target indifferenziato: non c’è bambino o bambina, ma solo cuccioli. La scuola segna la differenza: maschile e femminile. Ecco allora Disney Princesses®, un brand-ombrello che contiene sei brand, cioè sei personaggi, tutti al femminile: Cenerentola, Biancaneve, Jasmine, Sirenetta, Mulan, Aurora. Allo stesso modo funziona l’altro brand Disney: Disney Fairies, le Fatine. Ciascuna col suo talento e la sua personalità. Ciascuna col suo posizionamento. Per i maschietti, stesse strategie con brand come Power Rangers”. (…) Il Tribunale dei Minorenni di Roma è in un edificio antico, sul lungotevere. Ho appuntamento con la presidente, Magda Brienza: mentre aspetto, rileggo il protocollo d’intesa firmato tra il Ministero dell’Università e della Ricerca e il Tribunale medesimo. E’ datato al marzo 2003, quando ancora non si manifestava l’emergenza bulli che sarebbe scoppiata solo tre anni dopo, e fa riferimento “alla diffusione e alla gravità dei comportamenti antisociali agiti da minorenni, anche infraquattordicenni, in ambito scolastico”. Leggo, ancora, che gli “obbiettivi prioritari sono: l’istruzione di qualità per tutti i soggetti in età evolutiva; la protezione della salute e lo sviluppo della loro personalità; la protezione dall’abbandono morale ed educativo, dallo sfruttamento, dagli abusi e dalla violenza fisica e psicologica; l’educazione ai valori della solidarietà e della legalità”. E leggo, infine, che vengono istituiti un “servizio di sportello” e “una linea telefonica riservata per la segnalazione di alunni a rischio da parte degli operatori della scuola, offrendo agli stessi informazioni utili per meglio tutelare i diritti del minorenne”. Cerco di capire cosa sia emerso da quello sportello. Magda Brienza racconta: “Con una certa frequenza riceviamo lettere dei genitori: c’è un bambino che picchia, uno che dà in escandescenze, fate qualcosa. Poi ci sono quelli che si lamentano perché nella classe dei loro figli ci sono alunni stranieri che non conoscono la lingua: dicono che in questo modo fanno rimanere indietro tutta la classe, che non si riesce a seguire la didattica. Invocano, insomma, un contenimento”. Le chiedo se si sia data una spiegazione per quella che sembra una fobia ossessiva, e contagiosa, del mondo adulto. Ci pensa un po’: “Da quello che vedo, esiste un forsennato desiderio di protezione da parte dei genitori nel rapporto con la scuola. Ognuno si chiude a riccio sul proprio figlio. Un po’ tutti, direi, ci siamo chiusi nel nostro guscio”. Salgo un piano. Vado a trovare Roberto Polella, che presso il Tribunale dei Minori è sostituto procuratore della Repubblica. E che conosce un bel po’ di storie. Storie di grandi. “Abbiamo un problema di genitori. Genitori che contestano fino a creare problemi di sicurezza all’insegnante. Per parlar chiaro, gli tagliano le gomme dell’automobile. La scuola? Minimizza. Altrimenti dovrebbe riconoscere il proprio fallimento. Abbiamo un problema di madri, soprattutto. Sono apprensive, e aggressive: fanno piazzate in classe perché ritengono che il figlio venga discriminato. Infine, abbiamo il problema delle denunce, dove i genitori di altri bambini chiedono l’allontanamento di chi disturba le lezioni.” In pratica, gli chiedo, vi viene chiesto di fare da arbitri in una guerra dove i bambini sono la posta in gioco. “Come Tribunale – dice- siamo al centro di tensioni esasperate. La famiglia non ha autorevolezza. La scuola è in crisi. Per il bullismo, dicono. Ma il problema non è questo. Il bullismo è sempre esistito, a dispetto della mancanza di memoria dei mass media. Da sempre, a scuola, si picchia e si ruba. Ma ai miei tempi il bottino erano le merendine. Oggi il valore degli oggetti è molto più alto: e il reato diventa quello di rapina con estorsione. Semmai un fenomeno nuovo, pesantissimo, è quello dello stupro fra minorenni. Sa come funziona? Si sceglie una vittima e per prima cosa, con metodo, la si annienta moralmente. Prese in giro feroci, battute pesanti: giorno dopo giorno. Poi le si dice: la smettiamo in cambio delle tue prestazioni sessuali. Lei, in genere, accetta. Dopo la prima volta, si chiamano gli altri compagni. Lei torna. Altrimenti è fuori dal gruppo. Nessuno dei torturatori si chiede mai: “cosa stiamo facendo?”. Anche il pentimento è strumentale, chiaramente invogliato dai difensori e dalle stesse famiglie. “E’ stata una ragazzata. Sono giovane”. Questo è quello che dicono. E i familiari aggiungono: “sono vittime, sono stati provocati, la ragazza si è offerta, ci sta”. E gli altri compagni? “Silenzio. Mi è rimasto impresso il caso di una bambina di tredici anni, in provincia. Le hanno rotto le costole durante il cambio delle ore, perché non si ribellava e subiva ciecamente gli insulti e le vessazioni. Un gruppo di quattro. Nessuno l’ha difesa. Se vuole sapere perché si arriva a questo, le dico come la penso. Perché non viene capito il disvalore dei soggetti più deboli e labili, con minor capacità reattiva: la vigliaccheria è ai massimi livelli. Ma si arriva a questo anche e soprattutto perché le madri iperproteggono figlie e figli fin dalle elementari. E quando sono alle medie, li provvedono di soldi e telefoni costosi. Poi c’è un terzo motivo: sa cosa farei, se potessi?”. No, non lo so. “Bene, prenderei per il collo i vertici Rai e Mediaset e li inchioderei al muro. Editori, dirigenti, autori. E imporrei il canone etico: un vero codice, non una formalità. E se non lo rispettano li caccerei tutti. Le faccio l’elenco: Michele Cucuzza. Maria De Filippi. Maurizio Costanzo. Lo staff di Buona domenica. Bruno Vespa, con il caso Cogne trasformato in soap opera. Con questi modelli, cosa devono pensare i ragazzi? Quel che penso io, è che da questa situazione non si torna indietro”.”

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