Certo che viene prima il lavoro, certo che viene prima la possibilità di garantire a se stessi e alla propria famiglia e alle generazioni che verranno un’esistenza dignitosa. Certo che è indispensabile porre un freno a politiche di lacrime e sangue. Però dentro quelle politiche di lacrime e sangue, è bene ricordarlo, entra anche il disinteresse nei confronti della cultura: perché nei trent’anni fin qui trascorsi “cultura” è diventato sinonimo di circoletto, intellettuali svogliati, divani di vimini dove Jep Gambardella ascolta e rilancia pettegolezzi. Cultura significa avere parole. Avere parole significa capire. Capire significa poter contrastare. Poter contrastare significa avere forza. Non è utopia spicciola, non è You may say I’m a dreamer ma I’m not the only one(e a ben pensarci non ci sarebbe niente di male, peraltro). Sono fatti. PIAAC (Programme for International Assesment of Adult Competencies) è un’iniziativa dell’OCSE per misurare il livello di competenze e abilità chiave “nell’elaborazione delle informazioni” che, attenzione, “vengono considerate essenziali per la piena partecipazione di cittadini adulti al mercato del lavoro e alla vita sociale di oggi”.  Nel rapporto dell’Unione Europea che bocciava l’Italia sul piano della produttività, fra le voci criticate c’è l’istruzione e tra i punti deboli esattamente il basso livello di competenza degli adulti. Dunque, ci dice l’Unione Europea, formateli. E formare significa molte cose, non semplicemente seguire un corso: comunque sia, gli italiani adulti in formazione sono il 6,6%.  In fondo alla classifica, o quasi. Cosa si potrebbe/dovrebbe fare per acquisire quelle competenze? Leggere, per esempio. Al momento, non abbiamo un piano per l’incremento della lettura (bassissima, come si sa: la metà degli italiani non legge neanche un libro l’anno).  E fra le molte altre cose subiamo un freno alla diffusione degli ebook (che potrebbero fare molto, in proposito), che restano a costi alti anche per l’assurda equiparazione europea dei medesimi a prodotti informatici e non a opere dell’ingegno. In poche parole, l’IVA è al 22%. Non se ne è parlato moltissimo, ma, come ricordavail magazine Finzioni,l’ Associazione Internazionale Editori (IPA, International Publishers Association),   ha denunciato come “ingiustizia retrograda e tecnofoba”, la presa di posizione Ue. Il segretario generale IPA, Jens Bammel, ha detto:

The current European approach is a mess. It’s inconsistent, technophobic, backward and unfair, and it stands in the way of digital migration. With major markets like Brazil and Mexico making eBooks exempt from VAT, Europe is in danger of getting left behind. We need consistent treatment for all book formats, and the most logical way to achieve this is by reducing VAT on eBooks. L’approccio europeo attuale è un disastro. È incoerente, tecnofobo, retrogrado e ingiusto, e  ostacola la migrazione al digitale. Mentre in importanti mercati come quelli di Brasile e Messico gli eBook sono esenti da IVA, in Europa si rischia di rimanere indietro. Abbiamo bisogno di un trattamento coerente per tutti i formati di libri, e il modo più logico per raggiungere questo obiettivo è quello di ridurre l’IVA sui libri elettronici.

Peraltro, l’Unione Europea sta procedendo per vie legali contro Francia e Lussemburgo, che hanno autonomamente ridotto l’IVA sugli eBook rispettivamente al 5,5% e al 3%%. Un piccolo gesto, ma significativo, di cui avremmo un gran bisogno soprattutto nel nostro paese. Così come avremmo bisogno di capire se i lettori italiani sono qualcosa di più  dei semplici consumatori o fornitori di dati. Un anno fa Amazon ha comprato il social network di lettura  Goodreads,  arrivato a sedici milioni di iscritti e 23 milioni di recensioni. Il vero obiettivo di Amazon  è l’acquisizione dei dati e delle informazioni della community di lettori: per potenziare l’offerta e vendere di più. Ieri Mondadori ha acquistato aNobii.Per porre i lettori al centro, secondo la dichiarazione ufficiale. Possibile e auspicabile. Ma si vorrebbe, si dovrebbe sperare in qualcos’altro.

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