Sabato è uscito su Repubblica questo articolo di Christian Raimo. Pone un problema non da poco, dunque lo ripropongo qui. Con la consapevolezza  che in un paese dove persino libri che affrontano i fondamentali dell’appartenenza di genere vengono contestati come fossero opera del diavolo, discutere di sesso e sessualità a scuola e con i più giovani sembra (ed è) quasi un’utopia.

Quando con i miei amici anche i più colti e disinibiti, femministe, intellettuali, persone di vedute amplissime — parlo di pornografia, c’è sempre qualcuno o qualcuna che senza falsi pudori confessa di non avare mai visto un video porno in vita sua. A trenta, quaranta, cinquant’anni. Se pongo la stessa questione in classe — insegno in un trienno di un liceo — la reazione è rovesciata: una risatina d’imbarazzo e una sbruffoneria, però non c’è mai nessuno che si ritragga scusandosi perché non si sa di che cosa si tratta.

Ma non è che io abbia amici particolari né studenti speciali, il mio osservatorio non è per nulla privilegiato, faccio parte dello standard — me ne ha dato conferma Ilaria Bonato, che l’anno scorso ha realizzato una ricerca nelle scuole della provincia di Bologna, intervistando sul tema della pornografia 600 ragazzi di terze medie e prime superiori (età media: 14/15 anni) e il principale dato che ne ha ricavato è già molto significativo: solo tre persone del campione non guardavano porno online. Lo 0,5%. Per il resto: molti hanno dichiarato di mandarsi foto intime col cellulare ( sexting), anche se la maggior parte degli intervistati non ha saputo cosa rispondere sul problema dell’adescamento da parte degli adulti (il grooming). Il 70% non sapeva cosa pensare nei casi di cyberbullismo (un compagno manda in giro delle nostre foto intime), mentre non pochissimi hanno risposto di essere stati coinvolti nella compravendita di immagini porno.

La riflessione su questi e altri interessanti, per molti versi inquietanti, dati Bonato l’ha affidata all’ultimo numero di Hamelin, una rivista bolognese, una delle riviste più belle d’Italia, che si occupa in genere di letteratura per ragazzi, che a ogni uscita riesce attraverso questa lente a entrare nel vivo delle più cruciali questioni sociali che attraversano l’Italia, e che ha appena realizzato un numero intero dedicato all’argomento: la sessualità dei ragazzi e come se ne parla, tra amici, su internet, in tv, nei romanzi, nei fumetti…

Leggersi questo numero di Hamelin, il 34esimo, è come navigare in mare aperto. Perché se è vero che l’interrogativo è ineludibile — e lo sa qualunque genitore che abbia dei figli dai dieci (otto? sei?) anni in su — , è vero anche che la sessualità infantile e adolescenziale è ancora — dopo più di un secolo di psicanalisi — un territorio inesplorato, minaccioso, non solo per adulti inesperti, ma anche per i media: «Dei bambini e persino dei pre-adolescenti si conserva perlopiù un’immagine candida e celestiale che, tempo il passaggio a una compiuta adolescenza, è irrimediabilmente trasformata nel suo esatto contrario». A poco valgono le ricerche militanti di una Loredana Lipperini ( Ancora dalla parte delle bambine) di un Joel Bakan ( Assalto all’infanzia) o da ultimo di Stefano Laffi ( La congiura contro i giovani), capaci di svelarci un universo fatto di minori perversamente adultizzati — nei consumi, e quindi nelle relazioni, e quindi nella sessualità. Dalla parte degli educatori si avanza a tentoni: non solo la famiglia, ma la scuola o l’editoria, come si devono comportare?

L’impasse è duplice. Se laboratori sull’educazione di genere sono stati sempre sporadici, affidati alle energie dei singoli, se anche la questione dell’educazione sessuale tout-court a scuola non è mai stata affrontata in modo sistematico; per quanto riguarda i libri c’è ancora più confusione. I tentativi raccontati da Hamelin sono, prevedibilmente, quasi tutti problematici. Quei testi che hanno uno scopo didattico, roba come C’è un bambino nella pancia della mamma? o E ora parliamo di sesso, vengono analizzati per farne uscir fuori un case-study di una ventina di titoli recenti: con cosa abbiamo a che fare? In genere troviamo pagine molto caste, spesso piene di eufemismi e metafore viete: «Molto di rado è illustrata una penetrazione, o due corpi complici o innamorati che fanno l’amore, o un’eiaculazione». La paura paradossale sembra quella di risultare pornografici con dei ragazzi che però sanno benissimo la differenza tra un bukkake e un threesome.

Dall’altra parte, c’è la letteratura. In Inghilterra nel 2013 è nato un dibattito sui giornali: Malorie Blackman e Philip Pullman, due scrittori, sul Daily Telegraphe in un programma radiofonico, Today — si sono dichiarati a favore di una maggiore presenza del sesso nella narrativa per ragazzi — meglio conoscere il sesso nelle pagine di un romanzo che in video porno, no? Meglio Lady Chatterley che redtube? C’è da dire che qualche romanziere c’ha provato in questi ultimi anni. Non soltanto il caso editoriale The Vincent Boys di Abbi Glines o simili, esperimenti che vogliono ricalcare in minore il successo delle Cinquanta sfumature, una grande quantità di proposte cosiddette steamy: romanzi ammiccanti, soft- core, per adolescenti smaliziati; ma anche libri che hanno azzardato a essere seminali, traducendo in storie credibili grandi astrazioni teoriche sulla pedagogia sessuale; l’esempio più citato è quello di Melvin Burgess, che nel 2005 ha pubblicato Il chiodo fisso. Anche qui tuttavia essere espliciti non è una soluzione e nemmeno una strada in sé: se si elimina il pudore, il rischio può essere quello di venire censurati dagli stessi educatori (lo racconta Nicoletta Gramatteri quando propone a un gruppo di insegnanti di lavorare con i bambini sul testo di Ulf Stark, Il paradiso dei matti, in cui si trovano frasi del tipo «Ero distesa con la testa appoggiata al suo petto, e gli guardavo le dita del piede allargate. Tra un piede e l’altro vedevo il suo pisello che si era rizzato») o anche di risultare paternalistici, didascalici, insomma di scrivere romanzi edificanti. E che ce ne facciamo di una letteratura edificante? Di fronte a questa serie di fallimenti, la domanda iniziale viene riformulata: sconfortati dalla nostra incapacità di adulti di rivaleggiare con il porno online in tema di racconto del sesso, forse dovremmo semplicemente arrenderci con realismo al fatto che la generazione dei nativi digitali imparerà, sta imparando, a amare e fare sesso, barcamenandosi tra modelli di milioni disponibili di video di rapporti sessuali?

Ci sono però due esempi di critica letteraria — un saggio su Tom Sawyer e un’intervista a Manuele Fior — che riescono a darci un ultimo spunto prima di gettare la spugna: il discorso sul sesso e sulla pornografia, capiamo con gli Hamelin, è fuorviante se non lo si esprime in modo diverso. La nostra difficoltà è più ampia: è quella di raccontare i corpi. E, precisamente, la debolezza dei corpi. Il porno questo non lo mostra, il tabù non sono le scene hard ma la fragilità dei nostri corpi: in una società drogata da ansia di prestazione, avere a cuore questa debolezza può farci solo che bene.

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