Cose di cui occorrerebbe parlare invece di, e dopo il “di” si possono mettere le foto del premier mentre carica lo smartphone, lo streaming dei 5stelle, le discussioni web sul 50/50 (che sono importantissime, ma non nei termini in cui si stanno svolgendo ora, che appaiono assai poco pacati). Per esempio, le cose di cui parla Barbara Spinelli su Repubblica di oggi e che riguardano la Grecia. Solo un passaggio, invitandovi a leggere l’integrale:

“Dopo la crisi acuta del 2008, Reykjavik disse no alle misure che insidiavano sanità pubblica e servizi sociali, tagliando altre spese scelte col consenso popolare. Non solo: capì che la crisi minacciava la sovranità del popolo, e nel 2010-2011 ridiscusse la propria Costituzione mescolando alla democrazia rappresentativa una vasta sperimentazione di democrazia diretta. Non così in Grecia. L’Unione l’ha usata come cavia: sviluppi islandesi non li avrebbe tollerati. Proprio nel paese dove Europa nacque come mito, assistiamo a un’ecatombe senza pari: una macchia che resterà, se non cambiano radicalmente politiche e filosofie ma solo questo o quel parametro. Il popolo sopravvive grazie all’eroismo di Ong e medici volontari (tra cui Médecins du Monde, fin qui attivi tra gli immigrati): i greci che cercano soccorso negli ospedali “di strada” son passati dal 3-4% al 30%. S’aggiungono poi i suicidi, in crescita come in Italia: fra il 2007 e il 2011 l’aumento è del 45%. In principio s’ammazzavano gli uomini. Dal 2011 anche le donne”.

Cose da rileggere: luglio 2012,la lettera dell’economista greco Yanis Varoufakis. Cose che fanno pensare. Una poesia di Titos Patrikios (è sua la frase che conservo sul mio taccuino di Fahrenheit, “temi il fiume tranquillo”, me la regalò un paio di anni fa, quando venne in trasmissione). Questa, direi.

Non ci aspettavamo che accadesse di nuovo eppure è di nuovo nero come la pece il cielo, partorisce mostri di oscurità la notte, spauracchi del sonno e della veglia ostruiscono il passaggio, minacciano, chiedono riscatti.Non temere Lestrigoni e Ciclopi… Non temere, diceva il poeta, Ma io temo i loro odierni simulacri e soprattutto quelli che li muovono.

Temo quanti si arruolano per salvarci da un inferno che aspetta solo noi, quanti predicano una vita corretta e salutare con l’alimentazione forzata del pentimento, quanti ci liberano dall’ansia della morte con prestiti a vita di anima e di corpo, quanti ci rinvigoriscono con stimolanti antropovori con elisir di giovinezza geneticamente modificata.

Come una goccia di vetriolo brucia l’occhio così una fialetta di malvagità può avvelenare innumerevoli vite, “inesauribili le forze del male nell’uomo” predicano da mille parti gli oratori, solo che i detentori della verità assoluta scoprono sempre negli altri il male. “Ma la poesia cosa fa, cosa fanno i poeti” gridano quelli che cercano il consenso su ciò che hanno pensato e deciso, e vogliono che ancora oggi i poeti siano giullari, profeti e cortigiani.

Ma i poeti, nonostante la loro boria o il loro sottomettersi ai potenti, il narcisismo o l’adorazione di molti, nonostante il loro stile ellittico o verboso, a un certo punto scelgono, denunciano, sperano, chiedono, come nell’istante cruciale chiese l’altro poeta: più luce. e la poesia non riadatta al presente la stessa opera rappresentata da anni, non salmeggia istruzioni sull’uso del bene, non risuscita i cani morti della metafisica. Passando in rassegna le cose già accadute la poesia cerca risposte a domande non ancora fatte.

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