Che i femminismi siano faccenda complessa dovrebbe essere noto. Che siano stati oggetto di semplificazioni spaventose è meno noto ma intuibile. Volendo individuare un caso esemplare, il governo Renzi si presta benissimo. Proviamo a ragionarci in forma di Faq.

Non siete contente? Su sedici ministri, otto sono donne. Questa si chiama parità.

La risposta non può che essere sì e no. Il sì è però molto relativo: l’idea “apprezzo una donna in quanto donna” non mi è mai apparsa convincente (anche se molti continuano ad attribuirla di default a chiunque si occupi di questioni di genere), perché in base a questo ragionamento dovrei apprezzare il lavoro di Isabella Rauti e di Elsa Fornero, cosa che è lontanissima dalle mie convinzioni. Di contro, in un paese dove la presenza delle donne nei ruoli decisionali non è certo alta (tutt’altro), è apprezzabile che, sia pure per calcolo d’immagine, ci si adegui a quella che dovrebbe essere la normalità, e che altrove è la normalità. Ma qui ci fermiamo.

E il no?

Il no è molto più forte, come ha già spiegato Luisa Betti su pagina99. In primo luogo perché alla scelta delle otto ministre si affianca quella di abolire il ministero delle Pari Opportunità. Che non è (o non dovrebbe essere) un ministero di facciata, tanto perbenino e  politicamente corretto: è quello che deve (dovrebbe, doveva) garantire i diritti di tutti, donne, uomini, etero e omosessuali. La sua mancata presenza, così come la mossa di Letta di non sostituire Josefa Idem e di attribuire le deleghe a Maria Cecilia Guerra, sono il segnale di un evidentissimo disinteresse per tutta la questione dei diritti. A meno di non usare i medesimi a scopo di facciata, come già avvenuto con il cosiddetto decreto legge sul femminicidio: cavalchiamo la tigre per far vedere che siamo attenti alle questioni care alle donne e già che ci siamo infiliamoci dentro provvedimenti contro i NoTav (già, l’ha ripetuto in televisione anche Beppe Grillo: peccato che anche a lui dei femminicidi e delle questioni di genere interessi pochissimo, anzi nulla, anzi solo quando serve).

Almeno dategli tempo: questi sono pregiudizi.

Sì, sono pregiudizi: ma hanno ragione d’essere. Dal cosiddetto governo dei tecnici a questo momento, è apparso evidente che la questione dei diritti non è interessante, non è urgente, lasciamola agli intellettuali brontoloni, noi dobbiamo dare risposte al paese che soffre. Peccato che,come scriveva Stefano Rodotà oltre un anno fa, sia impossibile un progetto politico ambizioso che non tenga conto dei diritti. La retorica del “lasciateci lavorare” contiene rischi mostruosi: uno su tutti, quello di pensare che l’economia corra su un binario diverso da tutto il resto.

Intanto, però, lasciatele lavorare, le ministre.

Naturalmente. E’ sui fatti, non sulla presenza numerica che occorre giudicare. In compenso, la maggior parte dei giudizi emessi dagli organi d’informazione e da moltissimi commentatori social, ha riguardato il mancato uso di calze coprenti, il colore del tailleur, l’inadeguatezza dello stivale. Perfetta dimostrazione del vero nodo da sciogliere: la cultura di questo paese.

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