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- Categoria: Elisabetta Ambrosi
- Pubblicato: 19 Gennaio 2014
Una cittadina di quarantamila abitanti sottosopra. Una comunità di suore “sconvolte”, come ha spiegato il parroco della Regina Pacis don Fabrizio Borrello per una sorella che, nelle parole della madre superiore Suor Erminia, “non ha saputo resistere alla tentazione”. Il clamore intorno alla suora salvadoregna che ha partorito un bimbo all’ospedale Carducci di Rieti ha qualcosa di sconcertante. Come se una-suora-che-partorisce suonasse ancora come un incredibile tabù, forse quasi più per i laici che per i religiosi.
I cattolici, in fondo, hanno fatto il loro lavoro, anche per rispondere alla morbosità di tg e media. La legge è legge, piaccia o no esiste un comandamento che vieta l’adulterio e la suora aveva fatto promessa di castità. Ciò che stupisce e un po’ infastidisce è, forse, il fatto che tutti si siano adoperati nel ribadire che “era completamente ignara”, quasi che la consapevolezza di essere incinta aggravasse la sua posizione. E, anche, la certezza, quella trapelata ad esempio nelle parole del vescovo di Rieti, che la suora lascerà il convento, le illazioni sul suo futuro, come se non appartenesse esclusivamente a lei. Dei laici, invece, colpisce negativamente quella voglia di sapere i dettagli – la pancia che cresceva, le ecografie, il parto e l’allattamento – quasi si trattasse non di una donna normale, ma di una mamma vip. Oppure di uno strano essere, o forse un uomo, o un trans, che a un certo punto incredibilmente ha avuto una gravidanza e ha partorito. Tanto che la sua stanza è addirittura piantonata in ospedale per evitare l’assedio dei media.
Poche invece le parole di tenerezza per una ragazza che forse non era consapevole, o forse sì, visto che il suo corpo e le sue emozioni hanno scelto diversamente da quello che l’obbedienza le imponeva. Una donna esattamente come tutte noi, in preda al conflitto evidente tra desiderio di un figlio e tutto i suoi angosciosi ostacoli (un lavoro che non c’è, la precarietà, la sterilità). Ma, anche, all’ambivalenza: l’umanissima espressione di un conflitto più sfumato e nascosto, dove una scelta magari consapevole – farsi suora, decidere di non fare un figlio per lavorare di più – si scontra con la fantasia e il sogno di un bambino.
Forse la Piccola discepola del Gesù ha scelto un bimbo per andare via dal convento. O forse, in maniera più o meno consapevole, sentiva che le due cose non erano per forza in contraddizione, almeno nelle sue emozioni. Certamente ora si sentirà smarrita, improvvisamente catapultata là fuori, senza protezioni né la capacità di gestire se stessa e un bambino. Di fronte a quell’aut aut – o il bambino o la vita religiosa, o dentro o fuori – che laici e cattolici sembrano stranamente condividere e che invece probabilmente a lei apparirà, a poche ore dal parto, qualcosa di innaturale, insensato e forse ingiusto. E chissà che papa Francesco non condivida con lei questa insensatezza e decida di battezzare pubblicamente quel bimbo che ora porta il suo nome.
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