In questi giorni i mass media palpitano per il bambino conteso.

Fa discutere il video reso pubblico su you tube, nel quale il bambino, incalzato dal papà, dichiara: “La mamma è cattiva”.

Cito due articoli sulla vicenda:

Un resoconto dei fatti che hanno preceduto questi sviluppi di Luisa Betti

Il commento al rapimento di Concita De Gregorio

Ci sono i fatti:

la madre denuncia di aver subito violenza domestica durante la relazione con il padre del bambino e di essere fuggita con il figlio per questa ragione;

il padre sostiene di essere innocente, accusa la madre di essere una alcolista e di dover proteggere il bambino da lei.

Ci dice Concita De Gregorio:

I genitori non li scegli. A Leonardo Rigamonti ne sono toccati due di nazionalità diverse (la madre americana, il padre italiano) che si accaniscono in reciproche accuse — lei dice di lui: è violento, lui di lei: è alcolista — e vogliono, ciascuno, il figlio per sé. È una storia ordinaria, anche al netto del diritto internazionale che complica parecchio. Non importa, qui, chi abbia ragione: sono affari loro. La differenza fra avere più di quarant’anni e averne meno di dieci dovrebbe consistere in questo: non far ricadere su chi è venuto dopo gli errori di chi è venuto prima. Sacrificarsi, persino. Rinunciare e fare un passo indietro se necessario. Amare significa anteporre il bene di chi si ama al proprio. Non può essere Leonardo a decidere chi ama di più, per fortuna o purtroppo.

Per Concita De Gregorio qualunque storia è “ordinaria”, ma io non concordo.

Violenza domestica, alcolismo, fughe all’estero, rapimenti: anche al netto del diritto internazionale, cosa c’è di ordinario?

Io l’atteggiamento di Concita De Gregorio lo chiamo “banalizzazione della violenza” e mi sento di affermare che no, non c’è niente di ordinario.

Non tutte le donne che si separano si rivolgono al un centro antiviolenza per denunciare le violenze subite, anzi sono pochissime – il problema della violenza domestica è sommerso, denunciano gli operatori del settore.

Cito: Si tratta però di dati che, secondo i ricercatori, “rischiano di non spiegare fino in fondo la gravità del fenomeno, perché soltanto il 7,2 per cento delle vittime denuncia l’accaduto”, solo il 18,2 per cento delle donne che hanno subito violenze li considera reati, mentre un terzo delle donne che hanno subito violenza trascorre una vita senza parlarne mai con nessuno.

Quindi, definire una donna che denuncia le violenze subite in famiglia “un fatto ordinario” mi pare fuoriviante.

Se è vero che il padre in questione è un violento, questo non riguarda solo la donna che ha subito violenza, ma anche il minore, perché quando si parla di violenza non bisogna dimenticare gli effetti dirompenti di quella che viene definita “violenza assistita“.

“E’ ormai dimostrato che un bambino che assiste a una violenza su una persona per lui fondamentale come la madre vive un trauma e avrà delle conseguenze uguali a quelle di un bambino che abbia subito direttamente maltrattamento e violenza”, ci spiega Raffaela Milano, Responsabile Programmi Italia-Europa Save the Children. “E’ molto importante che questa consapevolezza raggiunga tutti i settori della società e non resti confinata fra gli addetti ai lavori e gli operatori. Intorno a questi bambini è necessario accrescere l’attenzione e rafforzare le reti e i servizi di protezione, cura e tutela.”

I bambini esposti a violenza domestica provano paura, terrore, confusione, impotenza e rabbia e vedono le figure di attaccamento da un lato terrorizzate e disperate, dall’altro pericolose e minacciose; questi bambini provano la pena di esistere poco perché non visti nella propria sofferenza dai genitori… nei bambini testimoni di violenze può essere presente il senso di colpa per il fatto di sentirsi privilegiati quando non vittimizzati direttamente, nello stesso tempo possono percepirsi come responsabili della violenza perché cattivi e sentirsi impotenti a modificare la situazione con conseguenti problemi appunto di depressione, ansia, vergogna, disperazione; i piccoli possono sviluppare comportamenti adultizzati d’accudimento verso uno o entrambi i genitori ed i fratelli e diventare protettori mettendo in atto a tal fine numerose strategie … le piccole vittime di violenza assistita apprendono che l’uso della violenza è normale nelle relazioni affettive (esse possono essere incoraggiate o costrette ad insultare o picchiare la madre ed i fratelli) e che l’espressione di pensieri, sentimenti, emozioni è pericolosa in quanto può scatenare violenza; in alcune ricerche si rileva una più alta incidenza negli adolescenti di comportamenti devianti e delinquenziali: la violenza assistita è considerata una delle cause delle fughe da casa, del bullismo, della violenza nei rapporti sentimentali tra adolescenti e dei comportamenti suicidiari… Senza un intervento finalizzato alla protezione fisica e psicologica ed alla cura degli effetti post-traumatici, i bambini possono avviarsi alla vita adulta con un bagaglio di problematiche comportamentali e psicologiche cronicizzate. (LA VIOLENZA ASSISTITA: UN MALTRATTAMENTO “DIMENTICATO” – DATI EPIDEMIOLOGICI ED ANALISI DEL CONTESTO – Dott.ssa Nastinga Drei, Responsabile Progetto sostegno ai minori vittime di violenza assistita – Aprile 2008)

Parliamo di alcolismo: l’alcolismo è una malattia cronica caratterizzata da alterazioni comportamentali, fisiche e psichiche causate dal consumo continuativo o periodico di quantità elevate di alcol. Si parla di consumo rischioso o dannoso di bevande alcoliche quando le quantità di alcol consumate possono esporre la persona o i terzi ad un pericolo o un rischio per la salute o la sicurezza, giungendo ad interferire sul regolare svolgimento della vita sociale, lavorativa o scolastica, a condizionare negativamente l’integrità delle capacità individuali, come quelle necessarie ad affrontare potenziali situazioni di pericolo (ad esempio prima di mettersi alla guida), a provocare in chi lo consuma problemi con la legge. Non esistono quantità considerabili “sicure” di consumo alcolico e maggiore il consumo, maggiore è il rischio per salute e sicurezza. L’alcol deprime il sistema nervoso centrale, riduce i freni inibitori e influenza pensieri, emozioni e capacità di giudizio. Può causare problemi di vario grado di gravità che coinvolgono non solo il soggetto ma anche la sua famiglia e la società  (in caso di incidenti stradali o di atti di violenza).

Che questo padre sia un violento o che questa madre sia un’alcolista bugiarda, in entrambi i casi non sono “affari loro“, non sono questioni irrilevanti ai fini della tutela del bambino: sono questioni fondamentali che riguardano in primis proprio il benessere di questo bambino.

Il fatto che il Tribunale non sia stato in grado di accertare se questo caso di “separazione conflittuale” è un caso in cui una delle persone coinvolte è vittima di violenza è gravissimo, come è gravissimo che si diffonda la notizia di un presunto alcolismo di uno dei genitori senza sentire il bisogno di chiedersi “ma sarà vero?”, perché un genitore alcolista è un genitore che potrebbe mettere in pericolo se stesso e i propri figli.

Ci dice Concita De gregorio:

La differenza fra avere più di quarant’anni e averne meno di dieci dovrebbe consistere in questo: non far ricadere su chi è venuto dopo gli errori di chi è venuto prima. Sacrificarsi, persino. Rinunciare e fare un passo indietro se necessario.

Rinunciare? Fare un passo indietro? Ma stiamo scherzando?

Immaginatevi di essere un padre e di vedere vostro figlio affidato ad una donna affetta da alcolismo, una donna che non esita ad inventarsi accuse di violenza domestica: comportarsi come se fosse una mamma responsabile significherebbe tutelare un bambino di 8 anni?

Direi proprio di no.

Immagino l’angoscia di lasciar salire in auto un bambino con una persone che beve. Voi la immaginate?

E adesso immaginate di essere una donna vessata da un uomo violento al punto da decidere di fuggire in un altro continente: affidereste vostro figlio all’uomo che ha abusato di voi? Nella consapevolezza che un partner abusante – ci dicono gli studi in merito – è un genitore che molto probabilmente adotterà il medesimo comportamento vessatorio e di controllo psicologico anche nei confronti della prole, tutelare il proprio figlio può coincidere con il “dimenticare gli errori“?

(Notate l’uso della parola “errori”: la violenza, le calunnie, sono “errori” o atti criminali?)

Qual è la soluzione che prospetta la De Gregorio?

AFFIDATELO per un breve o lungo momento a qualcuno che sappia volere il suo bene — un nonno una zia un amico una maestra — qualcuno che sappia tenerlo lontano dal calvario delle vostre reciproche sevizie e dall’egoismo adulto di volere l’esibizione del suo amore in esclusiva, clava che picchia sull’altro.

La soluzione è quella che si sta denunciando a gran voce da un po’ di tempo, una soluzione particolarmente in voga: strappare il bambino ad entrambi. Che quei due se la vedano tra di loro.

In un caso, una madre che ha subito violenza dal partner subirebbe una ennesima violenza  dallo Stato. Nell’altro caso, un uomo innocente sarebbe punito per essersi difeso. In entrambi i casi, una vittima sarebbe ulteriormente vittimizzata da quegli organi creati a tutela del cittadino. E un bambino sarebbe allontanato dal genitore che ha solo cercato di proteggerlo.

Così, per quell’assurdo familismo che pretende che all’interno di una famiglia non si commettano crimini ma solo “errori”, per quel ridicolo buonismo che rifiuta sempre e comunque l’esistenza di un colpevole, ma riesce a vedere solo litiganti ugualmente responsabili, a pagare devono essere gli innocenti.

Queste persone – il padre, la madre – si sono rivolte all’autorità competente perché facesse quello per cui è stata creata: svolgere delle indagini, verificare i fatti e prendere una decisione giusta.

La risposta che ricevono è: sono affari vostri, qualsiasi cosa sia successa non ci interessa, siete entrambi cattivi genitori e noi vi portiamo via vostro figlio.

Trovo vergognoso che si liquidino con tanta superficialità questioni serie e dolorose come la violenza domestica o l’alcolismo. Trovo vergognoso che si respingano al mittente le richieste d’aiuto di cittadini che hanno tutto il diritto – in quanto cittadini – di essere tutelati dalla legge, che si tratti di una donna che ha subito degli abusi all’interno delle mura domestiche o di un uomo ingiustamente accusato.

La colpa di tutto questo non è dei genitori, a questo punto non più, ma di uno Stato incapace di assolvere le funzioni che si è arrogato il diritto di reclamare per sé, e di una opinione pubblica che chiacchiera del “benessere dei bambini” senza la minima cognizione di causa,  incoraggiando i Tribunali a risolvere questioni tutt’altro che “ordinarie” punendo le vittime a appropriandosi dei bambini.

Nella giungla mi sentirei più al sicuro.

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