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«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sulla Bellezza». È così che Oscar Farinetti cambierebbe il primo articolo della Costituzione. L’ha detto due giorni fa, durante la conferenza stampa per l’apertura a Milano di Eataly Smeraldo. Ha detto molte altre cose, a dire il vero, virando le sue dichiarazioni, come sempre fa, a sostegno di Renzi. Tipo: ««Il contratto unico? Un’idea geniale di Matteo», e ancora: «Bene che crei aspettative purché non diventi romano. E dategli una mano anche voi, non rompetegli le palle». Cosa c’entra la bellezza con la politica? e con la costituzione? C’entra, c’entra da anni.

Un tempo parlare di bellezza in politica era tipico della destra. Una destra, fra l’altro, della peggiore specie: pensa al culto della bellezza che avevano il nazismo (l’ariano era bello, gli ebrei e gli zingari brutti) e il fascismo («A cercar la bella morte», andavano i balilla). Finché Veltronipubblicò nel 1996 La bella politica. E cominciò a parlare delle «belle cose» che accadevano a sinistra, mentre la bruttezza finiva tutta a destra. In bocca a Veltroni, la bellezza divenne un passepartout banalizzante, assieme alla «semplicità» e alla «solarità». Ricordo che nel 2008 Veltroni riusciva a definire «semplici, solari e belle» le manifestazioni di piazza prima ancora che avvenissero (vedi Una manifestazione semplice e solare).

Finita l’era di Veltroni, la bellezza passò a Nichi Vendola, che concluse il suo discorso al primo congresso di SEL, nell’ottobre 2010, addirittura con un «elogio della bellezza». E nel marzo 2011 l’acchiappò Matteo Renzi, che queste tendenze le coglie all’istante: «La fame di bellezza come cifra della scommessa politica su un diverso modo di partecipare, su un diverso modo di vivere l’impegno pubblico a Firenze e altrove, su un diverso modo di stare assieme come comunità: un popolo, non un ammasso indistinto di gente» (dal blog di Matteo Renzi «A viso aperto», ora non più accessibile, ma all’epoca notai la cosa e ne scrissi).

Niente di strano, dunque, che ora Oscar Farinetti proponga di inserire la bellezza in Costituzione. Provocazione? Certo. Trovata comunicativa? Altrettanto certo. Il problema, però, è che la bellezza è relativa: ciò che è bello per me, non lo è per un altro; ciò che è bello in un certo momento storico, non lo è dieci o vent’anni dopo, un secolo dopo. E in quanto relativa, la bellezza è anche autoritaria e antidemocratica: poiché non si può fare, ogni volta, una votazione per decidere quale azione politica/legge/programmazione amministrativa è bella e quale no, sarà per forza il leader (e il partito) al potere a deciderlo. Ma alle cose e persone che il leader non considera belle cosa accade? Demolizione? Esclusione sociale? Insomma, siamo sicuri che parlare bellezza sia interessante, rilevante, proficuo per il centrosinistra? Ricordo che Berlusconi diceva sempre di volersi circondare di «belle ragazze», «bei giovani» e definì Obama «giovane, bello e abbronzato». Ricordo che persino Sandro Bondi ci ha scritto un libro: La rivoluzione interiore per una politica della bellezza. E ora Farinetti vuol mettere la bellezza in apertura della Costituzione. Evvai, con la bellezza.

Archiviato in:comunicazione politica Tagged: Berlusconi, comunicazione politica, Eataly, Nichi Vendola, Oscar Farinetti, Renzi, Sandro Bondi, Veltroni

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