Non erano telecomandate, le ragazzine arrivate l’altra sera al campo profughi di Dikwa. Per farsi saltare in aria tra la folla dovevano compiere un gesto. Un atto volontario. Consapevole. Come premere un bottone, o tirare un filo. Tre ragazzine con pochi anni alle spalle e un giubbetto esplosivo, facile da nascondere sotto la veste lunga che indossano le donne di ogni età nel Nordest della Nigeria. Erano arrivate accompagnate da uomini di Boko Haram, i loro diavoli custodi, confusi nel quotidiano flusso di disperati e affamati in fuga da una guerra che non conosce né fronti né oasi.

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