Dunque, la lista è completata. Sono rimasti fuori (e me ne scuso) gli ultimi due commenti di ieri, che siete pregati di tener presenti nel leggerla: in compenso, è in ordine alfabetico e quindi più semplice da consultare. La trovate qui, in pdf. Come potrete notare, specie nella parte dedicata a romanzi e racconti, entra davvero di tutto: nomi e titoli provenienti dalla letteratura “alta”, genere stretto e strettissimo, libri per ragazzi, ibridi, classici. E’ un gioco, naturalmente, ma a mio parere ha un suo risvolto importante: accogliendo l’invito di Carlotta Borasio a elencare i titoli che possono considerarsi introduttivi o esplicativi del concetto di fantastico, ho riportato tutti i vostri suggerimenti, e rileggendo mi rendo conto che la lista non è esplicativa. Indicativa sì, però. Perché il fantastico, al di là della divisione in sottogeneri e dei confini spesso ritenuti invalicabili fra un territorio e l’altro, è difficilmente definibile, e soprattutto non riducibile al concetto di facile intrattenimento. Aspetto i vostri commenti. Nel frattempo, vi riporto un brano di Difendere la terra di mezzodi Wu Ming 4, dove viene riportato un passo di un testo di Tolkien che dovrebbe fare chiarezza su cosa aveva in mente lui. Eccolo.

“In quelle pagine magistrali, Tolkien entra in polemica con i letterati che snobbano il genere fantastico e lo accusano di escapismo, fuga dalla realtà, disimpegno. È come se sapesse cosa gli toccherà in sorte quando finalmente avrà pubblicato Il Signore degli Anelli. A proposito della sottovalutazione della fantasia da parte della critica letteraria scrive che «almeno in parte questa svalutazione è dovuta al naturale desiderio dei critici di portare alle stelle le forme di letteratura o di “immaginazione” che essi stessi preferiscono, per propesione innata o per educazione». C’è in sostanza un problema dovuto alla formazione del gusto attraverso i canoni estetici dominanti. Tolkien paragona gli esponenti dell’establishment culturale che si scagliano contro la letteratura di “evasione” ai burocrati di partito dei regimi dittatoriali, intenti alla difesa dello status quo e a tacciare di diserzione qualunque tentativo di evasione dall’attuale stato delle cose. I termini in cui esprime questo concetto sono molto netti:

Utilizzando “Evasione” in questo modo, i critici hanno scelto la parola sbagliata, e, quel che è peggio, stanno confondendo, e non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la fuga del Disertore. Allo stesso modo un portavoce di partito avrebbe potuto etichettare la fuga dalle miserie del Reich del Führer o di qualsiasi altro regime, o anche solo la sua critica, come un tradimento. In questo modo i critici, per rendere peggiore la confusione, e attirare il disprezzo sugli oppositori, appiccicano la loro etichetta spregiativa non solo sulla Diserzione, ma anche sull’Evasione vera e propria, e su quelli che sono spesso i suoi compagni: Disgusto, Rabbia, Condanna e Rivolta. Non solo essi confondono l’evasione del prigioniero con la fuga del disertore, ma sembrerebbero preferire l’acquiescenza del collaborazionista alla resistenza del patriota.

Dunque i difensori dello status quo letterario, cioè del canone realista, preferiscono i collaborazionisti – nell’originale inglese quisling, un termine spregiativo che data dal 1940, derivato dal nome del politico norvegese filonazista Vidkun Quisling, che collaborò con gli invasori tedeschi del suo paese, mettendosi a capo di un regime fantoccio – e avversano i patrioti del fantastico, che nella stessa metafora evidentemente equivalgono ai partigiani della Resistenza europea. È un pensiero talmente esplicito da suonare come una dichiarazione di guerra”.

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