Molti anni fa (era il 2005), mi infilai in una polemica letteraria sulla cultura popolare: brutto termine, in verità, almeno in italiano, perché le due parole sembrano annullarsi a vicenda in un contesto come il nostro, purtroppo. Allora, come oggi, ero convinta che il popolare fosse materia prima con cui cimentarsi, spingendomi a dire, come oggi,  che l’equivalente contemporaneo di Wilhelm Meister fosse, ai tempi, il videogioco dei Pokémon. Allora, come oggi, ero convinta che un certo disprezzo intellettuale verso "la gente", i suoi gusti e le sue azioni (lo stesso di cui, su altro argomento, parla Donatella Di Cesare nel suo "Il complotto al potere") sia non solo ingiusto ma controproducente.

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