- Dettagli
- Categoria: Rete delle reti Info
- Pubblicato: 22 Maggio 2020
In tutto il mondo i peggiori focolai sono dove si produce e si lavora la carne. Ma in generale, se siamo preoccupati da sfruttamento, razzismo, crisi climatica e dalla pandemia, dobbiamo smettere di mangiare carne. A parte il chiaro rapporto fra Covid e allevamenti, alcune risposte si trovano in un articolo sul New York Times in cui Jonathan Safran Foer si domanda: la carne è considerata più essenziale della vita dei lavoratori sottopagati che la producono?
Qui un estratto del testo tradotto per voi:
La carenza di carne nei negozi [a causa dei focolai di coronavirus nella filiera della carne, ndr], e la decisione di Trump, nonostante le proteste dei lavoratori in pericolo, di ordinare la riapertura dei macelli [chiusi per coronavirus, ndr], sta spingendo molti americani a riflettere su quanto la carne sia essenziale.
I macelli che il presidente ha ordinato di riaprire si concentrano proprio in sei contee fra le dieci dichiarate zone rosse dalla stessa Casa Bianca. L'allevamento di maiali Smithfield a Sioux Falls, S.D., che fornisce circa il 5% della carne suina del Paese, è uno dei più grandi focolai nazionali di coronavirus. In uno stabilimento Tyson a Perry, in Iowa, si registrano 730 casi: cioè circa il 60% dei dipendenti. In un altro stabilimento Tyson a Waterloo, in Iowa, i casi segnalati sono 1.031 tra circa 2.800 lavoratori. [Vedi New York Times Covid in the U.S. Map, ndr]. Avere dipendenti ammalati significa dover chiudere gli impianti, causando “un accumulo” di animali; quindi molti allevamenti stanno procurando aborti alle scrofe in gravidanza, altri sono costretti uccidere gli animali con il gas o a colpi di pistola; tanto che il senatore Chuck Grassley, repubblicano dell’Iowa, ha chiesto all’amministrazione Trump di destinare risorse per la salute psichica degli allevatori di maiali.
Nonostante questa macabra realtà e benché già da ben prima di questa pandemia siano chari gli effetti che gli allevamenti hanno sul territorio e le comunità, sugli animali e sulla salute umana, solo la metà circa degli americani dichiara di voler ridurre il consumo di carne. (…) Eppure, nello stesso tempo, sempre più persone intuiscono che a breve un cambiamento è inevitabile.
È noto ormai che l’industria della carne è una delle principali cause del riscaldamento globale. Secondo l’Economist un quarto degli americani tra i 25 e i 34 anni si dichiara vegetariano o vegano, il che forse spiega perché la vendita di “carni” vegetali stia salendo alle stelle, con i prodotti Impossible and Beyond Burgers disponibili ovunque, da Whole Foods a White Castle.
Il Covid-19 ci ha costretti a guardare oltre una porta che abbiamo sempre lasciato chiusa. Quando si tratta di un argomento scomodo come la carne, si è tentati di ignorare la scienza, di rifugiarsi in dettagli inutili e di parlare del nostro mondo solo teoricamente. Alcune delle persone più premurose che conosco riescono a non pensare ai problemi legati a questa industria, così come io riesco a non pensare ai cambiamenti climatici e alle disparità sociali, per non parlare delle contraddizioni delle mie scelte alimentari. Ma fra gli effetti collaterali inattesi di questi mesi di pausa forzata c’è che è difficile non chiedersi cosa è essenziale e cosa no.
Non possiamo proteggere il nostro ambiente continuando a consumare carne con questi ritmi. Questa non è una prospettiva confutabile, ma una banale verità. Le mucche producono quantità enormi di gas serra [e gli allevamenti incidono enormemente su deforestazione e incendi, ndr]. Nel loro insieme, immaginate come paese, rappresenterebbero il terzo più grande paese al mondo per emissioni di gas serra.
Secondo il direttore della ricerca del Project Drawdown(organizzazione che studia soluzioni alla crisi climatica) “il contributo più importante che ciascuno può dare per contrastare il riscaldamento globale è una dieta a base vegetale”. (…)
Il sistema di allevamento su cui contiamo è intessuto di infelicità. Anche se aprissimo le loro gabbie, i polli attuali sono geneticamente modificati al punto che il loro stesso corpo è una prigione di dolore. I tacchini sono allevati per essere così obesi da essere incapaci di riprodursi senza inseminazione artificiale. Possiamo constatare la sofferenza delle mucche, separate dai vitelli ancor prima dello svezzamento nei loro pianti [anche ove le mucche sono allevate "libere", ndr], e averne prova attraverso il cortisolo nel loro corpo. Non c’è etichetta o certificazione che possa evitare questa crudeltà, e non abbiamo bisogno di nessun attivista per i diritti degli animali per sapere qualcosa che non sappiamo già. Dobbiamo solo ascoltare noi stessi.
Non possiamo proteggerci dalle pandemie continuando a mangiare carne regolarmente. Si dà molta attenzione ai wetmarket ma l’industria della carne, in particolare gli allevamenti intensivi di pollame, sono un terreno di coltura altrettanto preoccupante per le pandemie. Inoltre, secondo il Centers for Disease Control and Prevention (l'Ente per la prevenzione e il controllo delle malattie in USA) tra le malattie infettive nuove o emergenti, 3 su 4 sono zoonotiche: il risultato del nostro rapporto corrotto con gli animali.
Va da sé che vogliamo essere al sicuro. Sappiamo come stare più al sicuro. Ma volere e sapere non bastano. Queste non sono solo opinioni mie o di qualcun altro, nonostante si tenda a pubblicare queste informazioni nelle sezioni di opinione. E le risposte alle domande più comuni che vengono poste sulla zootecnica non sono opinioni:
• Abbiamo bisogno di proteine animali? No.
Possiamo vivere una vita più lunga e più sana senza. La maggior parte degli adulti americani mangia circa il doppio di proteine dell’apporto raccomandato – compresi i vegetariani, che ne consumano il 70% in più di quanto necessario. Le persone che seguono diete ricche di proteine animali hanno maggiori probabilità di morire di malattie cardiache, diabete e insufficienza renale. Naturalmente anche la carne, come i dolci, può essere parte di una dieta sana. Ma nessun nutrizionista considererebbe sano mangiare dolci troppo spesso.
• Il crollo del sistema degli allevamenti non ne farebbe soffrire gli agricoltori? No.
Semmai soffriranno le aziende che parlano a loro nome mentre li sfruttano. Oggi ci sono meno agricoltori americani di quanti ce n’erano durantela guerra civile, nonostante la popolazione americana sia cresciuta di quasi 11 volte. Non è un caso, ma un modello di business. Il sogno supremo della zootecnia industriale sono “fattorie” completamente automatizzate. Viceversa la transizione verso alimenti vegetali e pratiche agricole sostenibili creerebbe molti più posti di lavoro. Non è me che dovete ascoltare: chiedete a un agricoltore se sarebbe felice di vedere la fine dell’allevamento di tipo industriale.
• Un mondo senza carne favorisce le élite? No.
Come uno studio del 2015 dimostra, una dieta vegetariana costa 750 dollari l’anno meno di una dieta a base di carne. (...) I dipendenti dei macelli che ora rischiano per soddisfare il nostro gusto per la carne per la maggior parte non sono bianchi. Suggerire che fare agricoltura in modo più sano e più equo possa essere elitario è solo propaganda dell’industria della carne.
• Non si può lavorare sull’industria della carne per migliorare il sistema alimentare? No.
Beh, a meno non crediate che chi ha acquisito potere grazie allo sfruttamento distruggerà volontariamente proprio gli strumenti a cui deve una ricchezza spettacolare [una prova di ciò sta nell'autorizzazione, data proprio quest'anno da USDA - l'ente americano per lo sviluppo dell'agricoltura, a velocizzare ulteriormente i processi di "produzione" della carne, cioè di allevamento intensivo e di uccisioni, sia per i maiali sia per i polli, arrivando ad autorizzare l'uccisione di animali alla velocità di 3 polli al secondo,. Qualcosa che ci dice tutto sulla consapevolezza delle politiche pubbliche e dell'insaziabilità dei produttori di carne, ndr]. L’agricoltura industriale è per la vera agricoltura ciò che i monopoli criminali sono per l’imprenditorialità. Se il governo tagliasse per un solo anno gli oltre 38 miliardi di dollari che versa in salvataggi, chiedendo alle aziende di carne e latticini di giocare secondo le normali regole del capitalismo, le distruggerebbe per sempre. Questa industria non potrebbe sopravvivere nel libero mercato.(...)
Mentre incombe l’orrore di una pandemia, con le nuove domande che oggi dobbiamo porci su ciò che è essenziale, ora vediamo chiaramente che quella porta che adesso è aperta in realtà è sempre stata lì. (...) D’altra parte non è niente di nuovo, ma qualcosa che ci richiama il passato – un mondo in cui i contadini non erano figure mitologiche, i corpi torturati non erano cibo e il pianeta non era il conto alla fine del pasto. [Jonathan Safran Foer, The end of Meat is here, New York Times 21 Maggio 2020]
• La ricerca e lo sviluppo della "carne" alternativa a base vegetale han fatto in pochi anni progressi sbalorditivi.
Oggi la "carne vegetale" è disponibile anche in forma sostituiva al maiale e al pesce, con prezzi che progressivamente diventano sempre più competitivi. Ma soprattutto, se tutti rinunciassimo alla folle abitudine di mangiare animali, sarebbe sostenibile il prezzo che, per mantenere l'Umanità, deve pagare il Pianeta; e questa è la sola cosa che può salvare la nostra stessa vita; non solo quella degli animali.