imageTesoro, da grande dovrai essere determinata, indipendente e risoluta. Ma finché sei una bambina, devi essere passiva, plasmabile e obbediente.

Uno degli aspetti più controversi della sindrome da alienazione genitoriale è, a mio avviso, la “terapia” che il Dott. Richard Gardner consiglia per i “bambini alienati”.

Cito da Family Therapy of the Moderate Type of Parental Alienation Syndrome:

Before embarking on the treatment, the therapist must have a clear idea regarding exactly what the nature of the court’s support will be. All of the possible sanctions should be spelled out clearly in a court order. As the court’s impartial therapist, direct communication with the judge is possible in order to clarify this issue. Such therapists must know exactly what threats they can use to lend support to their suggestions, instructions, and even manipulations, I have no hesitation using the word threats. Life is filled with threats. If one doesn’t pay one’s household bills, services are discontinued. If one repeatedly does not show up for work, one ultimately gets fired. Without threats there would be no organized civilized society. And traditional therapy has its threats; for example, “If you don’t pay your bills, I’m going to seriously consider discontinuing treatment,” and “If you don’t cooperate with regard to taking the medication I’m prescribing, I don’t think I can be of help to you.” It is in the treatment of PAS families that threats are crucial. Empty threats are not only a waste of time but also compromise the treatment. Threats that have little if any possibility of implementation provide the therapist with a reputation of being weak and impotent and significantly compromise the likelihood that the treatment will be effective. In order for the threats to have clout, the therapist must be court ordered. Otherwise, the therapist’s threats are going to be meaningless.

“Prima di intraprendere il trattamento, il terapeuta deve avere una chiara idea in merito alla natura del supporto che riceverà dal Tribunale. Tutte le eventuali sanzioni dovrebbero essere imposte da un ordine del Giudice. Un terapeuta scelto dal tribunale può comunicare direttamente con il Giudice  al fine di chiarire la questione. I terapeuti devono sapere esattamente quali minacce possono utilizzare per dare forza ai loro suggerimenti, alle istruzioni e anche alle manipolazioni. Non ho alcuna esitazione nel pronunciare la parola minacce. La vita è piena di minacce. Se una persona non paga le utenze domestiche, i servizi sono sospesi. Se più volte non si presenta al lavoro, alla fine viene licenziato. Senza minacce non ci sarebbe nessuna società civile organizzata. Anche la terapia tradizionale ha le sue minacce, per esempio: ‘Se non pagate le sedute, ho intenzione di prendere seriamente in considerazione la sospensione del trattamento’ oppure ‘Se non collabori per quanto riguarda l’assunzione del farmaco che ho prescritto, non credo di poterti essere d’aiuto’. Nel trattamento delle famiglie con PAS le minacce sono cruciali. Minacciare invano sarebbe non solo una perdita di tempo, ma comprometterebbe il trattamento. Minacce che hanno poca o nessuna possibilità di attuazione, danno del terapeuta una immagine di soggetto debole e impotente e compromettono significativamente l’efficacia del trattamento. Affinché le minacce abbiano il giusto peso, il giudice deve mettere in pratica ciò che il terapeuta ordina. In caso contrario, le minacce del terapeuta non hanno significato.”

Alla base di una società civile, ci dice Gardner, ci sono le minacce.

Un esempio di minaccia “terapeutica” sarebbe questa: “se non prendi le medicine che ho prescritto, non credo di poterti essere d’aiuto”.

Ora, da dizionario, la definizione di minaccia: promettere o annunciare un male, un danno, un castigo; in diritto penale, il delitto commesso da chi provoca in altri il timore di un ingiusto danno, prospettando in qualunque modo, con parole, gesti, scritti, un male futuro e indebito, la cui realizzazione dipenda esclusivamente dalla volontà di chi minaccia e che sia di tale rilevanza da turbare obiettivamente la tranquillità della vittima.

Se spiego ad un paziente che il suo non assumere i farmaci necessari comprometterà la possibilità di guarire o migliorare dal suo male, lo sto minacciando?

Facciamo un esempio: se dicessi ad un diabetico che rifiutarsi di assumere l’insulina prescritta danneggia la sua salute e rende inutile qualsiasi visita medica, questa sarebbe una minaccia?

Secondo me no, perché non sto prospettando una punizione o un castigo che io metterò in atto, ma mi limito a spiegare quali saranno – secondo me – le inevitabili conseguenze di un suo comportamento.

Gardner paragona il bambino affetto da Pas (da lui descritta come una sindrome, cioè un insieme di sintomi che identificano uno stato patologico) ad un adulto che non paga le bollette o non si reca al lavoro (If one doesn’t pay one’s household bills, services are discontinued. If one repeatedly does not show up for work, one ultimately gets fired).

Francamente l’analogia mi sfugge: chi non paga le bollette è malato? O il bambino affetto da Pas è un soggetto che commette un illecito o non rispetta un regolamento?

Più avanti nel testo Gardner ci riporta il tipico dialogo fra il terapeuta e il bambino alienato:

Gardner: What would you do if the judge said that if you don’t see your father for a full weekend, he’ll stop your mother’s money for that week? Sally: I wouldn’t see him. I’d get a job and give her all the money I have. Gardner: Suppose he said that if you don’t see him, he’ll stop your mother’s money forever. She’d have no money. What would you do? Sally: All of us (Sally and her two brothers) would get jobs. Gardner: Suppose the judge said that if you don’t see your father for a full weekend, he’ll put your mother in jail for that weekend? Sally: My mother said she’d go to jail for me if I was that uncomfortable with him and didn’t want to go. Gardner: Suppose the judge said, “I’ll keep her in jail unless you go and I’ll keep her in jail until you go.” Sally: I guess I’d go!

Gardner: Cosa faresti se il giudice ti dicesse che se non vedi tuo padre per un intero weekend, non darà soldi a tua madre per quella settimana? Sally: Non vorrei vederlo. Mi piacerebbe avere un lavoro e darle tutti i soldi che ho. Gardner: Supponiamo che dica che se non lo vedi, non darà più soldi a tua madre per sempre. Non avrà mai più del denaro. Che cosa faresti? Sally: Tutti noi (Sally e i suoi due fratelli) cercheremmo lavoro. Gardner: Supponiamo che il giudice dica che se non vedi tuo padre per un intero weekend, lui metterà tua madre in prigione per quel weekend? Sally: Mia madre ha detto che sarebbe andata in galera per me se io sono a disagio e non voglio andare. Gardner: Supponiamo che il giudice dica: “Io la tengo in carcere a meno che non andiate e ce la tengo finché non ci vai.” Sally: Penso che andrei!

Per convincere i bambini a trascorrere del tempo col genitore che non vogliono frequentare, Gardner suggerisce di spaventare questi bambini minacciando l’arresto del genitore col quale vogliono stare. Ma fa di più: sostiene che il terapeuta dovrebbe avere il potere di farlo arrestare davvero, quel genitore.

The highest level threat is jail… Although I have repeatedly recommended such a ruling or rulings to courts, I have thus far not been successful in convincing judges that this is the only “treatment” that is likely to work. One could start with house arrest, in which the alienator would be put to jail if discovered out of the home during a prescribed period, such as the time frame of the court-ordered weekend visitation. If this does not prove efficacious, then the next step would be the more traditional house arrest, in which there is random telephone monitoring by the police and an electronic ankle band that communicates with the local police station. The next step is more formal incarceration in the local jail. Usually short periods suffice to help the alienating parent “remember” to produce the children at the assigned times.

La minaccia più alto livello è la prigione… Sebbene io abbia più volte consigliato i Giudici ad emettere ordini in tal senso, finora non sono riuscito a convincerli che questo è l’unico “trattamento” che ha qualche probabilità di successo. Si potrebbe cominciare con gli arresti domiciliari, precisando che l’alienante finirebbe subito in prigione se scoperto fuori casa durante un periodo determinato, ad esempio quel fine settimana in cui il giudice ha previsto le visite del minore. Se questa soluzione non si dimostra efficace, allora il passo successivo potrebbe essere un genere più tradizionale di arresti domiciliari, in cui vi è il monitoraggio da parte della polizia e l’uso di una cavigliera elettronica che comunica con la stazione di polizia locale. Il passo successivo è l’incarcerazione più formale nella prigione locale. Di solito brevi periodi sono sufficienti per aiutare il genitore alienante a “ricordarsi” di consegnare i bambini quando è stabilito che lo faccia.

Vi faccio notare che prima Gardner ammette di non essere mai riuscito a convincere un giudice a sperimentare l’incarcerazione del genitore alientante (I have thus far not been successful in convincing judges), ma poi conclude: Usually short periods suffice to help the alienating parent “remember” to produce the children at the assigned times.

Mi domando: come fa a sapere che un breve periodo di questo “trattamento” sarebbe sufficiente a produrre significativi risultati se non ha mai avuto modo di metterlo in pratica?

Questo genere di conclusioni (cui Gardner giunge senza avere alcun elemento a supporto) dovrebbe farvi comprendere perché alcuni suoi colleghi lo hanno accusatodi misunderstandings, errors in logic,and sweeping assertions in his article(fraintendimenti, errori di logica, affermazioni che tendono a generalizzare).

Come è chiaro da questo articolo, l’approccio di Gardner si propone non tanto di “curare” (prescrivere al soggetto i rimedi necessari per recuperare un certo benessere), quanto condizionare i suoi piccoli pazienti e i pazienti adulti, al fine di ottenere determinati comportamenti.

Recentemente ho trovato in rete questa lettera, della quale vi consiglio la lettura integrale.

Nel frattempo ne riporto un passo.

…Oggi, molti bambini hanno disturbi comportamentali, e sono anche numerosi i programmi di trattamento. Purtroppo, essi si basano in generale su concezioni pedagogiche secondo le quali sarebbe possibile e necessario inculcare adattamento e sottomissione al bambino “difficile“. Abbiamo qui a che fare con terapie comportamentali più o meno di successo, che consistono in una sorta di “riparazione” del bambino. Tutte queste varianti terapeutiche hanno in comune il silenzio o l’ignoranza sul fatto che ogni bambino difficile esprime la storia dei danni alla sua integrità, che comincia molto presto nella sua vita, come lo dimostra il mio lavoro d’indagine, nei bambini tra zero e quattro anni, mentre il loro cervello si sta formando (vedere il mio articolo del 2006 “L’impotenza delle statistiche “, non ancora tradotto in francese). La maggior parte delle volte, questa storia viene rimossa.

Tuttavia non si può realmente aiutare un essere straziato ad occuparsi delle proprie ferite se ci si rifiuta di guardarle in faccia. Molto fortunatamente, le prospettive di cura sono migliori per un organismo giovane, e questo è anche vero per le ferite psichiche. Il primo passo da fare sarebbe dunque di prepararsi a guardare autenticamente le sue ferite, prenderle sul serio e cessare di negarle. Ciò non ha nulla da vedere con una “riparazione dei disordini“ del bambino, si tratta al contrario di occuparsi delle sue ferite con empatia ed informazioni giuste e vere.

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