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- Categoria: Ricciocornoschiattoso
- Pubblicato: 25 Gennaio 2014
Una traduzione da Do courts use a controversial theory to punish mothers who allege abuse?
In una sera d’inverno del 2009, Anna Cooper era con il figlioletto di 5 anni, Ben , nell’appartamento dei suoi genitori nel Connecticut. La Cooper, che aveva chiesto il divorzio solo pochi mesi prima, si rilassava sulla sedia a dondolo in soggiorno mentre Ben stava giocando con il suo convoglio giocattolo, quando, senza preavviso, il bambino si avvicinò alla madre e le infilò la mano tra le gambe. (I nomi di tutti i protagonisti di questa storia sono stati modificati per proteggere la loro privacy)
La Cooper, inorridita, chiese a Ben se i suoi amici avessero giocato con lui in quel modo. Ben rispose: “Non i miei amici . Papà gioca in questo modo.”
“Tutto il mio mondo è andato in pezzi.” racconta la Cooper.
Due settimane dopo l’episodio la Cooper portò Ben da un pediatra, Richard Whelan. Durante la visita, il bambino si nascose sotto il tavolo e raccontò al medico che suo padre “afferrava il suo cavallo dei pantaloni” per gioco, come riportano le annotazioni di Whelan, fornite successivamente a Eli Newberger, fondatrice della child-protection unit dell’Ospedale Pediatrico di Boston. La Cooper afferma che Whelan le aveva manfestato l’intenzione di riportare l’accaduto alla sex-abuse clinic della Yale University. (Whelan è ora in pensione, un uomo che si è identificato come il dottor Richard Whelan ha rifiutato di commentare, appellandosi al diritto alla privacy dei pazienti).
Poco dopo la visita, la Cooper è stata messa in guardia dal parlare di Ben a Yale. In una lettera, l’avvocato di suo marito, Noah Eisenhandler, le scrisse che il suo “insistere ad esporre il bambino a queste accuse infondate si tradurrà in una richiesta di affidamento esclusivo sulla base dell’alienazione del bambino.” Fu consigliata di “procedere con molta cautela” (entrambi, Eisenhandler e l’ex-marito, hanno negato di essere intervenuti in questi termini).
La Cooper non aveva idea di cosa Eisenhandler stesse parlando. Non aveva idea di cosa fosse “l’alienazione”, una controversa forma di abuso emotivo di cui soffrirebbero i bambini coinvolti in controversie conflittuali per la custodia. Né era al corrente della storia di questo “abuso emotivo”, teorizzato da Richard A. Gardner, psichiatra infantile, celebre per aver trascorso gran parte della sua carriera sostenendo che le donne spesso inventano false accuse di abuso su minore in caso di separazione e convincono i figli a fare altrettanto. Gardner chiamò questo fenomeno sindrome da alienazione genitoriale (PAS).
Negli ultimi due decenni, questa teoria è stato oggetto di un dibattito molto acceso. Nonostante una recente campagna volta ad aggiungere la sindrome al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), questa non è ancora ufficialmente riconosciuta. Molti esperti sostengono che quando l’alienazione fa capolino nel sistema giuridico, è utilizzata per punire madri protettive che accusano il partner di abusi su minore.
“E’ proprio la PAS di Gardner che ha dato origina a quello che sta accadendo nei Tribunali dei minori in tutto il paese”, dice Joan Meier, professoressa di clinical law presso la George Washington University: “Quando una madre denuncia un abuso o lo fanno i bambini stessi, o il bambino mostra paura o ostilità verso un genitore che si presume sia stato abusante, tutto viene molto rapidamente attribuito ad una vendetta della madre.”
Due anni fa, ad esempio, un giudice in un caso di affidamento in California ha suggerito che una madre stava alienando i suoi due figli allo scopo di metterli contro il padre, che era stato condannato per averla violentata. A dispetto delle obiezioni della madre e del consulente del Tribunale, il giudice ha stabilito che il padre avrebbe dovuto essere ricongiunto ai figli subito dopo il suo rilascio dal carcere.
In Iowa, pochi anni fa, un padre coinvolto in un caso di custodia è stato accusato di aver abusato sessualmente delle sue due figlie. L’uomo ha replicato che era stata la nonna – la prima a paventare l’abuso – a fare il lavaggio del cervello alle figlie. Il giudice ha rifiutato di ascoltare le testimonianze di tutti i terapeuti che ritenevano le accuse fondate e la nonna è stata allontanata e condannata a vedere le nipoti solo in un ambiente protetto. Il padre , nel frattempo, si è aggiudicato l’affidamento congiunto.
Dopo l’incidente avvenuto a casa, la Cooper aveva chiesto – e ottenuto – l’affidamento esclusivo di Ben. Più l’abuso diventava probabile, più lei correva il rischio di perderlo.
Quando Gardner ha coniato il termine PAS a metà degli anni ’80, riteneva che fosse in atto una sorta di isteria collettiva e ha descritto queste madri accusatrici come animali “sadici disposti “letteralmente a combattere fino alla morte al fine di salvaguardare la loro progenie”, il cui obiettivo, scrisse , era “la totale eliminazione del padre”. Gardner credeva anche che proprio questi genitori erano i veri pervertiti, che trovavano una “gratificazione indiretta” nel convincere il bambino ad inventare accuse di abuso sessuale. Poiché queste madri risultavano poco collaborative, Gardner sosteneva che con loro si dovesse usare una terapia che più che una terapia sembra una condanna: rimedi appropriati a questi casi, secondo lui, sono provvedimenti emessi dal Tribunale, multe, la perdita della custodia e persino la prigione.
Gardner è stato sostenuto dai gruppi di “papà separati” e ha lavorato su centinaia di casi in tutto il paese. “I contributi di Richard Gardner hanno fornito una base per il successivo lavoro nel campo” dice Richard Warshak, uno psicologo clinico presso il Southwestern Medical Center dell’Università del Texas e autore di “Divorce Poison: How to Protect Your Family From Bad-Mouthing and Brainwashing.”
Eppure uno studio di sei mesi condotto una volta nel 1987 e una nel 1988 dall’Association of Family and Conciliation Courts non ha trovato alcuna prova dell’isteria di cui parla Gardner. “Quello che vedeva, lo interpretava come attraverso una lente”, afferma Robin Deutsch, psicologa e direttrice del Center of Excellence for Children, Families and the Law alla Massachusetts School of Professional Psychology. “E’ così che prodotto tutta questa roba.”
Dal suicidio di Gardner a 72 anni, avvenuto nel 2003, la letteratura sull’alienazione è fiorita copiosamente. Psicologi come Warshak hanno scritto libri divulgativi sull’argomento, mentre gli avvocati si propongono come specialisti. Governatori e sindaci dall’Alabama all’Illinois hanno firmato proclami riconoscendo le sue apparentemente tragiche conseguenze. Per il suo libro “Adult Children of Parental Alienation Syndrome: Breaking the Ties That Bind,”, la ricercatrice e psicologa Amy Baker ha intervistato 40 adulti che – lei dice – sono stati manipolati fino a rifiutare un genitore . “Si odiavano per aver partecipato alla manipolazione” dice. “Sono diventati adulti depressi con una bassa autostima e problemi a fidarsi degli altri.”
Non è chiaro quanto frequentemente l’alienazione compaia nelle battaglie per la custodia o a quale genere appartengano gli accusatori e gli accusati. Come nel caso della Cooper, il termine “alienazione” può anche non apparire affatto negli atti giudiziari a disposizione del pubblico, per cui è difficile per i ricercatori effettuare valutazioni empiriche. Eileen King, un ex direttrice dell’Office for Justice for Children, Washington, D.C., ha raccontato ad Al Jazeera America che tra il 2000 e il 2012 ha dovuto affrontare dai 50 ai 70 casi di alienazione alla volta. Spesso, si trattava di casi in cui una madre riferiva un sintomo classico di abuso – un comportamento eccessivamente sessualizzato, ad esempio, o il conoscere troppo sul sesso considerata l’età. Ogni volta , dice, “quei casi non sono stati considerati credibili perché la madre veniva dichiarata alienante o mentalmente instabile”.
Un altro dei legali, oltre la King, che si è dedicato pro bono a questi casi è stato Gregory Jacob, un ex avvocato del George W. Bush’s Department of Labor. “Ho visto genitori e genitori puniti per aver presentato in buona fede le prove di abusi affinché le autorità valutassero ciò che loro vedevano”, racconta. In tutti, non uno escluso, dei 20-30 casi che Jacob ha gestito nel corso degli ultimi 13 anni , il presunto abusatore ha optato per la stessa difesa: “Sta cercando di allontanarmi dalla mia bambina”. “E’ ciò che farei io se fossi un avvocato che rappresenta un genitore abusante” ha dichiarato.
La Baker sostiene che un modo per prevenire false accuse di alienazione è “stabilire e concordare i criteri per la valutazione dei casi”. La soluzione al problema sarebbe aggiungere la sindrome di alienazione parentale al DSM .
Eppure questa idea non è stata accolta senza aspre polemiche. Mentre l’American Psychiatric Association stava preparando l’ultima edizione del DSM, le varie fazioni si sono scontrate in merito alla proposta sostenuta da Baker e altri per l’inclusione della sindrome. In una lettera del 2010 all’APA, la National Organization for Women (NOW) ha descritto l’alienazione come priva di fondamento scientifico. “Crediamo che se questo disturbo fosse aggiunto al DSM -V, riceverebbe una immeritata credibilità, perché viene utilizzato nei tribunali ingiustamente contro i genitori protettivi – di solito le madri”, ha scritto il gruppo. Contemporaneamente, l’associazione Fathers and Families (che adesso si chiama National Parents Organization), sosteneva che la NOW stava tentando di “sopprimere” il riconoscimento dell’alienazione e ha esortato i suoi sostenitori a supportare la campagna per l’inclusione nel DSM .
Alla fine, l’APA non ha accettato la sindrome nel manuale diagnostico. La Baker, tuttavia, sostiene ancora che si tratti di una vittoria: anche se la sindrome di alienazione genitoriale , o il disturbo da alienazione parentale, come è anche definito, non è menzionato nel DSM, il linguaggio che gli appartiene è stato aggiunto ad un disturbo già riconosciuto, il problema relazionale genitore-bambino, come nuova forma di abuso psicologico. “Anche se le parole non ci sono, c’è il concetto. Se si dovesse trattare un bambino che ha questo problema , si potrebbe trattare”, spiega la Baker.
Nel frattempo, i bambini coinvolti in falsi casi di alienazione possono finire intrappolati con i loro aguzzini, dice la King, che di recente ha dato vita ad una sua organizzazione, la Child Justice. “Il presupposto – dice la King – è che i padri sono essenziali per crescere i loro figli. Ma i bambini non crescono meglio con un genitore violento – non importa se si tratta di un uomo o se è una donna.”
I sintomi di Ben continuavano. Cantava canzoni inquietanti e si dava pugni da solo. Secondo la Cooper, Ben era tornato da una visita con il padre – che poteva tenerlo per quattro giorni a settimana- con lividi e abrasioni che non riusciva a spiegare. Dopo il ritorno da una visita, Ben chiese aiuto alla Cooper per andare in bagno. Quando la donna scoprì sangue sulla carta igienica lo portò di corsa in ospedale, dove gli furono diagnosticate delle ragadi anali.
La diagnosi dell’ospedale provocò una richiesta da parte della polizia di una visita alla Child Sexual Abuse Clinic di Yale, dove Ben è stato ascoltato. La Cooper successivamente ha condiviso il video dell’intervista con Newberger, chiamato come consulente. Dopo che Newberger suggerì che Ben stava mostrando segni di un disturbo da stress post – traumatico, la Cooper assunse anche Joyanna Silberg, una psicologa specialista in bambini presso lo Sheppard Pratt hospital del Maryland. Per la Silberg, il comportamento regressivo, distruttivo e sessualizzato di Ben era un segnale di gravi abusi. “Questo è quello che avviene quando un bambino non è in grado di gestire le circostanze estreme che è costretto a subire”, ha dichiarato ad Al Jazeera America. Nessuno alla Yale Clinic aveva fotografato le ferite di Ben, e dopo la prima visita l’emorragia non cessava. La madre di Cooper, Catherine, un’infermiera, decise di scattare delle foto. “Ogni volta che qualcuno entra in ospedale, si scatta una foto” afferma Catherine .
Nel frattempo, l’ex marito della Cooper negava di aver mai toccato suo figlio impropriamente. Lo scopo della donna, sosteneva il suo avvocato, era danneggiare il bambino.
La corte si dimostrò d’accordo con lui. Il Giudice dichiarò che la Cooper era molto più distruttiva del suo ex-marito: si era “arrogata il diritto di raccogliere prove documentarie per quella che lei riteneva una giusta causa” scrisse “Il rovescio della medaglia era che, anche se sinceramente convinta di ciò che credeva, il suo comportamento verso il bambino era stato abusivo. Scattare quella foto è stato un’abuso”.
Il giudice decise per l’affido esclusivo al padre di Ben. Alla Cooper sarebbe stato permesso di vedere il figlio solo sotto sorveglianza.
Nei mesi successivi alla decisione del giudice, il comportamento anomalo di Ben non mutò. Sembrava ossessionato dalla violenza – menzionava teste e mani mozzate – e un giorno presso l’ufficio del suo terapeuta descrisse qualcuno che gli defecava in bocca. Uno psichiatra infantile, Kenneth Robson, venne nominato per valutare il caso. Robson era una nota autorità sull’alienazione, con un impressionante curriculum – due decenni presso la Tufts University School of Medicine, una decina di anni come direttore di psichiatria infantile e adolescenziale all’opedale Hartford, nel Connecticut, un incarico presso la Yale University School of Medicine. Nelle trascrizioni del tribunale, Robson chiama la Cooper una “puttana francese” durante una telefonata con un mediatore familiare, e cita Gardner come fonte della sua valutazione. James Smith , l’avvocato della Cooper , chiese che Robson fosse escluso dal caso. “La corte rispose che è un noto esperto che ha la qualifica di psichiatra infantile”, racconta la Smith.
Robson, che ha rifiutato di concederci una intervista, ha completato la sua valutazione nell’estate del 2011. Nella relazione fornita alla Cooper, Ben è descritto come un “quadro diagnostico complesso” – un ragazzo precoce, “legato” ad un padre “solido”. La Cooper, invece, è quella dannosa e pericolosa. In un passaggio che ricorda le idee di Gardner su “gratificazione indiretta”, Robson ha scritto che quando la donna chiedeva a Ben di smetterla con i suoi comportamenti sessualizzati, non solo non era convincente, ma in realtà lo invitava a continuare. Questa ossessione “orgiastica” per i genitali di Ben aveva così sovrastimolato il ragazzo che questi non poteva più “contenere le passioni da lei suscitate”, aggiungendo che, come “Moby Dick”, questa storia sarebbe finita in tragedia, danneggiando l’anima di Ben. Robson raccomanda che l’affidamento esclusivo rimanga al padre.
Una decisione presa lo scorso inverno ha concesso alla Cooper due visite protette a settimana, più cinque ore per la festa della mamma e per Natale. La Cooper dice che ha più di mezzo milione di dollari di debiti e non può permettersi di pagare le visite protette, per cui non vede Ben da più di un anno. Randy Burton, un ex procuratore di Houston specializzato in abusi sessuali su minori che ha fondato l’associazione Justice for Children, non conosceva il caso della Cooper. Dopo averlo esaminato per Al Jazeera America, ha dichiarato che ci dimostra quanto le forze dell’ordine, la magistratura e gli esperti di salute mentale sono stati “infettati” da quella “teoria fasulla” che è la PAS. “In ogni occasione in cui il sistema sarebbe potuto intervenire per proteggere il bambino, non è riuscito a farlo” Burton ha scritto in una e-mail “Che questo modello pervasivo di rifiuto in presenza di tali prove schiaccianti di abuso ci mostra quanto il sistema è stato compromesso da questa scienza spazzatura“.
Catherine diede sua figlia i suoi risparmi di una vita, 550 mila dollari, per aiutarla con il caso. Ha poi presentato istanza di fallimento . “Ho sempre creduto nel nostro sistema giudiziario. Ecco perché ci ho investito tutto” dice Catherine. “Devo crederci adesso? No, non ci credo. Non ci credo più”.