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- Categoria: Loredana Lipperini
- Pubblicato: 07 Gennaio 2014
Domenica, mentre raggiungevo la libreria Tuba, al Pigneto, ho visto su un muro la scritta “Rivoltati ora, non nella tomba”. Provo a ripartire da questa frase per un’ulteriore riflessione su quello che, almeno secondo me, non è un fenomeno spicciolo. La vicenda degli insultatori di Bersani - questo il tema, almeno iniziale - viene oggi discussa sui quotidiani (qui trovate un articolo di Stefano Bartezzaghi, per esempio), e con ogni probabilità verrà dimenticata come è avvenuto per il caso di Caterina Simonsen, la studentessa di veterinaria, come per Laura Boldrini e Cécile Kyenge e così via. Eppure, merita approfondimento: e non, lo ripeto per la centomillesima volta visto che anche ieri il fraintendimento c’è stato, per la necessità di porre filtri al web, ma per capire cosa accade.Primo punto.In molti, ieri e oggi, hanno citato l’esperimento di Radio Radicale, che qui era stato ricordato all’inizio del maggio 2013 proprio in seguito al “caso Boldrini” in un post che in parte si ritrova in Morti di fama, peraltro: quell’episodio dimostra che, quando si toglie un filtro, lo sfogo “di pancia” è quasi automatico. E dimostra anche un’altra banalissima verità: l’odio fa audience. Radio Radicale concorse al Premio Italia per quella “radio parolaccia”, a dispetto delle molte altre bellissime iniziative che la caratterizzavano, così come i blog del periodo pionieristico divenivano visitatissimi appena scoppiava una polemica e così come i siti dei quotidiani o le bacheche dei medesimi vantano oggi un bel traffico se gli odiatori possono darsi convegno nello spazio commenti. Basta saperlo.Secondo punto. Riguarda la mancanza di consapevolezza di chi scrive in rete, e che è sinceramente convinto che il proprio parere, urlato o meno, sia letto soltanto dalle persone a lui/lei più vicine, dunque da un numero relativamente esiguo e per questo, si ritiene, assolutorio. Insulto perché so di trovarmi tra affini. Ora, l’idea della rete come enorme contenitore di nicchie o meglio ancora di monadi che non comunicano fra loro è, sempre a mio parere, vacillante: poteva valere prima dei social network, ma non oggi. Chiunque, su Facebook e Twitter, legge chiunque. E non si tratta di incapacità a gestire la privacy da parte degli utenti: molti di quelli che augurano morte e distruzione al primo che capita a tiro sono sinceramente convinti di parlare a se stessi e a pochi altri. Da dove viene questa mancanza di presa sul reale-del-virtuale? Scarsa alfabetizzazione digitale? Scarsa alfabetizzazione-punto? Oppure disgregazione, parcellizzazione, ritorno di ogni possibile discorso alla parola “io”, onnipotenza? Non lo so, e non penso sia facilissimo capirlo.Terzo punto. Il termine che ho incontrato più spesso fra chi racconta gli odiatori e prende distanza da loro (a volte fuori tempo massimo) è “imbecilli”. Ancora una volta, non credo sia così semplice. Incrociamo i punti di vista. Il sentimento che incontro più spesso fra gli odiatori, oltre alla perenne e ormai ineliminabile collera verso la “casta” è il disprezzo verso i “saputelli” o “colti”, che per il fatto di esser tali con la casta medesima sono giocoforza collusi. E questo è uno dei punti da meditare bene: perché il disprezzo verso i cosiddetti intellettuali non è faccenda nuova, ha attraversato quasi tre decenni in varie forme e canali, ed è diventato ancora più profondo. Colpa di chi? In parte, certo, anche di un modo di concepire il lavoro intellettuale come distaccato dal sociale e dal quotidiano. In parte, di un “frame” (su, era tanto che non scrivevo questa parola) da cui non ci si libera perchè non viene affrontato. E questo è un grossissimo guaio.Quarto e ultimo punto. Che è quello che ci riporta alla frase scritta sul muro del Pigneto. Chi pensa di rivoltarsi attraverso il web è preda di una terribile illusione, se per web si intende l’uso del medesimo come sfogatoio, come “ora ve le canto io”. E’ verissimo quanto commentava Adrianaaaa ieri, sul fatto che la rabbia cresce in un paese infelice, povero, immobile, dove per lavorare devi accettare condizioni da schiavo. Quella rabbia (lo scriveva poche settimane fa Marco Revelli a proposito dei “forconi”) non va minimizzata nè liquidata. Ma anche chi la esprime deve sapere che una tastiera non basta, che neanche una manifestazione di piazza basta, che il lavoro è lungo, difficile e lento. Chiudo riprendendo le parole di un vecchio post, di oltre quattro anni fa. Più che un post, è una citazione. Tanto per esercitare la memoria, e anche la rivolta.
Il 20 agosto 1799 Eleonora Pimentel Fonseca sale sul patibolo. Enzo Striano, in uno splendido libro che si chiama Il resto di niente, la immagina mentre, con il cappio al collo, guarda le facce sghignazzanti intorno al palco e mormora, in latino, Forsan et haec olim meminisse juvabit (”Forse un giorno servirà ricordare tutto questo”). Ma non ci crede. Scrive Striano: “Di lì a poco, finita la festa si sparpaglieranno in mille direzioni. Sulla sabbia della Marinella, verso Santa Lucia, a Toledo… Domani avranno già scordato quanto succede adesso: ora però si stanno divertendo, innocenti e crudeli come infanzia”.
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