«Molte pensano male della Vergine perché soggiogate da una cultura al maschile», dice Luce Irigaray. Strana affermazione, si dirà, per una filosofa femminista del calibro della Irigaray. Ma strana non è: solo rivoluzionaria; un punto di vista che per le donne apre scenari nuovi, dirompenti in modo inatteso, a patto di dismettere ogni pregiudizio.

Vergine-Politicafemminile

Oggi è Natale, un'ottima giornata in cui sollevare il tema del femminile nella spiritualità, a partire da quella cattolica: di una religione, cioè, di cui sono ormai sviscerati in ogni dettaglio i crimini contro le donne. Crimini operati, più che dalla religione stessa, dai suoi "conduttori"; i master and commander che in ogni religione sono sempre, inesorabilmente, maschi. I crimini di costoro sono una lunga catena, che storicamente attanaglia i popoli a tutte le latitudini; fra essi ce n'è uno, però, che è forse il peggiore. Sta alla base di tutti gli altri eppure non lo si guarda mai nella sua vera interezza. E' il crimine di avere assegnato alla divinità un sesso univoco e rigorosamente maschile, incuranti della blasfemia che questa visione comporta. Le conseguenze di ciò sono infinite, certo la prima è stata demonizzare la figura femminile. Ma non si parla mai del suo corollario di altrettanta gravità: l'esproprio (ai danni di tutti ma soprattutto di noi donne) del femminile nella divinità.
"Né puttane, né Madonne" è un ottimo slogan, che ben inquadra la violenza dei ruoli, ma tirare la conseguenza che la Madonna sia un riferimento regressivo non è solo semplicistico: è anche un vero autogol. Prima di spiegarmi meglio ricordo che, storicamente, la sua figura non è stata solo uno strumento di repressione, ma anche una grande risorsa e un vero e proprio appiglio per la parte femminile dell'umanità - ovunque la più oppressa. La storia di Maria, infatti, fissa a lettere di fuoco, letteralmente, il concetto stesso dell'autodeterminazione della donna: nel dettaglio che vuole che, prima di affidarle l'incarnazione del divino, il Signore le chiese (non le impose: le chiese), di dire "Si". Argomento ben trattato, qui, da  Benigni:

Madonna-e-femminismo

Nell'evento dell’Annunciazione, dunque, il progetto stesso della salvezza divina è sottoposto a un (o al no) di una ragazzina di circa 16 anni. Non riconoscere il valore di quell’attimo (attribuendo a Dio una imposizione che cade dall'alto), secondo Irigaray «mina i fondamenti stessi del Cristianesimo».

E credo proprio che abbia ragione; del resto anche usare l'investitura religiosa come strumento di potere e di guerra mina l'essenza stessa del Cristianesimo; il che non ha mai impedito di farlo. Da parte mia aggiungo che la Madonna incarna la figura (presente in molte religioni), della dea Vergine, archetipo di un femminile totalmente autosufficiente in sè stesso, che come tale può generare senza il concorso maschile. Per autosufficienza, appunto: non certo per un'imposizione di verginità da un qualsivoglia maschio! Una figura femminile che, in questo caso, è in un rapporto talmente intrinseco alla divinità da essere elevata alla condizione di Madre dell'Amore divino stesso: tu, Maria, Vergine e Madre, figlia del tuo figlio. E' un concetto del femminile talmente potente da far tremare i polsi.La sua ispirazione avrebbe potuto minare alla base lo strapotere maschile stesso; lo si è dunque manipolato come messaggio impositivo annichilente della femminilità: e questa è una truffa. Noi stesse, accettando questa versione come realmente "religiosa", in realtà confondiamo la religione con dogmi confezionati ai nostri danni dai dominatori patriarcali. Una cultura al maschile che ci soggioga (come appunto dice Irigaray) ci induce a svendere qualcosa che ci appartiene e di cui ci viene nascosto l'immenso valore.

Più in generale, sull'espropriazione che abbiamo subito, vorrei dire ai teologi d'ogni tempo: ci avete privato della verità fondante che il Cristo stesso è una figura profondamente femminile. E alle donne ferite dalla religione vorrei dire: riconsiderate le cose da un punto di vista femminile, e non da quello di chi ci ha truffate.

In un'epoca in cui i soli valori positivi erano quelli virili e marziali, lui, Dio stesso! il Re dei Re, si presenta disarmato e nudo, e letteralmente viene a sdoganare il lessico dell'inferiorità femminile: mitezza e tenerezza. Caratteristiche gradite, beninteso, negli schiavi, dunque alle donne intese come proprietà - e dunque a loro imposte. Ma che di per sè non erano doti affatto: erano semmai stigma di quanto di più svilente, in quanto contrario al concetto di "Uomo" nell'immaginario eroico della virilità che sottomette e conquista.

Bè, il Re dei Re le virtù virili le snobba. Le sue armi sono tenerezza e mitezza; e sul fatto che tali armi siano sinonimi e archetipi del femminile patriarchi e teologi hanno sempre glissato compattamente. Ponendo doviziosamente l'accento su povertà, umiltà e rinuncia, si è girata la frittata in modo di fare di questi messaggi lacci mortali contro i poveri e le donne, dimenticando di chiedere agli uomini (in quanto maschi) di seguire l'esempio del Cristo. Oggi più che mai, nel giorno della sua Natività, mi inchino a questo divino e a Maria, sua madre.

Vi saluto e ringrazio per l'ospitalità, augurando a tutte e a tutti buon Natale.

Vostra Superficaoca, 25 dicembre 2013

 

Ps - in tema, lascio due documentari interessanti: Gesù e la donna, di Werner Weick (sono 4 video, dal primo arriverete agli altri) 

e una lectio di Dario Fo: Gesù e le donne(sono 7 brevi video, come sopra). 

Di seguito, infine, alcune preziose citazioni da un'intervista a Luce Irigaray.

Sull'apporto «culturale» del Cristianesimo

«Penso che tale contributo non sia ancora bene inteso né trasmesso, salvo talvolta da artisti, mistici e poveri di spirito. Suggerisco solo qualche insegnamento che, secondo me, risulta dalla tradizione dell’incarnazione divina. Anzitutto, riconoscere la necessità del ruolo non solo naturale ma anche spirituale della donna per la ‘redenzione’ e il compimento dell’umanità. Quindi, superare le divisioni che regolano la nostra cultura, in particolare fra corpo e anima, carne e spirito, natura e cultura, perfino umano e divino. Ammettere che l’amore, compreso quello carnale, è ciò che può condurre all’unione di queste spartizioni sbagliate, ereditate da una logica filosofica che pretende di dominare la natura invece di coltivarla. Ancora: non svalutare la generazione naturale rispetto alla creazione e mettere questa al servizio dello sbocciare della natura stessa, da rispettare come corpo vivente e ambiente. Scoprire, inoltre, che la trascendenza può anche essere sensibile e incarnata, sviluppando gesti e parole che favoriscono il suo emergere. Infine, coltivare il desiderio come dimensione umana che ci spinge a trascenderci, e non dimenticare il valore dell’invisibile e del toccare come via dell’incarnazione».

Sul silenzio

«Sono una donna. Se non accetto che il silenzio mi sia imposto per lasciare il posto a una parola che sostituisce la mia, conosco anche il prezzo del silenzio. So che può rappresentare un luogo di ritorno a sé, di preservazione ed intimità con se stessi. Non si può dire tutto, e una parola che non si radica nel silenzio non corrisponde a una parola incarnata. Il silenzio non è necessariamente assenza di parole, ma riserva di parole o eventi futuri la cui manifestazione è ancora sconosciuta. Il silenzio di Maria testimonia il mistero di una carne capace di portare alla luce ciò che non è ancora accaduto né apparso a livello di generazione. Il silenzio può essere il custode della soglia fra il dentro e il fuori. Esso consente di recuperare un’integrità, si può dire anche verginità, fisica e psichica. Un modo di rendersi disponibile per ascoltare e accogliere il non ancora conosciuto, per avvicinarsi all’altro come altro».

Sul sentire religioso

«Per favorire un dialogo tra diverse famiglie culturali o religiose conviene non insistere sulla parola ‘credenti’ e interrogarsi sulla via che permette all’umanità di raggiungere il suo compimento. Non intendo cadere in un relativismo nichilista, ma rispettare l’apporto di ogni tradizione dell’umanità. Per quanto mi riguarda, direi che l’avvicinamento alla tradizione dello yoga mi ha permesso di scoprire aspetti della mia tradizione che non avrei percepito senza dialogare in me stessa con diverse tradizioni. Per esempio l’importanza del respiro mi era stato insegnato come una componente essenziale dell’incarnazione del divino. Avevo sentito parlare del soffio di Dio e dello Spirito Santo come soffio. Ma senza una pratica quotidiana dello yoga non avrei capito il senso di tali parole nella mia propria tradizione. Non dobbiamo temere di aprirci ad altre tradizioni per portar loro, ma anche riceverne, qualche luce. È così che ho imparato che un amore senza respiro o un respiro senza amore non bastano».