In questi giorni siamo nel pieno del #16Days 2013, o Campagna dei 16 Giorni contro la violenza di genere, che da alcuni anni (per iniziativa del CWGL) copre il periodo dal 25Novembre al 10 Dicembre: e che quest’anno verte sul tema della lotta al militarismo per fermare la violenza contro le donne [il che si ricollega molto bene a quanto già detto QUI, e anticipato e/o richiamato qui e qui]. La Campagna dei 16 Giorni 2013 si batte dunque per la presa di coscienza delle molteplici interrelazioni tra violenza di genere e militarismo, sottolineando il legame tra la battaglia per i diritti economici e sociali di tutti e quella per la sconfitta della violenza.
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E’ cruciale inquadrare il militarismo nel suo ruolo di creazione e normalizzazione di una cultura della paura supportata dall'uso o dalla minaccia di violenza o intervento militare in risposta ai conflitti socio-politici o per rafforzare interessi economici e politici. Il militarismo è un sistema di violenza strutturale che viola i diritti e la dignità umana, la sicurezza e l'incolumità di donne, uomini e bambini. In quasi ogni Paese e regione del mondo (salvo poche eccezioni fra le quali il Costa Rica) il suo impatto è evidente ove gli stanziamenti per i servizi pubblici e sanitari, e per l'educazione, vengono gravemente erosi dalle spese militari. Peggio ancora ove leggi e politiche marginalizzano le donne e le minoranze; e ogniqualvolta l'azione militare prevale su quella diplomatica per risolvere questioni politiche e sociali.

La Campagna dei 16 giorni sottolinea come quelli delle donne siano diritti umani e riconosce nei sistemi patriarcali strutture che incorporano tradizioni pericolose ed emanano politiche che normalizzano la violenza contro le donne, negando loro il diritto ad una vita dignitosa. Evidenzia dunque le interconnessioni fra le lotte per i diritti economici e sociali, e quelle contro il militarismo e la violenza di genere, concentrandosi su 3 aree prioritarie: 1. Violenza perpetrata dallo Stato; 2. Violenza domestica e ruolo delle armi di piccolo taglio; 3. Violenza sessuale durante e dopo i conflitti;

1. Violenza perpetrata dallo Stato
Fulcro del militarismo è la violenza perpetrata dagli Stati per mantenere o estendere il potere. Lo fanno direttamente e senza scrupoli, oppure appellandosi alla necessità di difendere la sicurezza nazionale; lo fanno aggredendo sessualmente e fisicamente le attiviste per i diritti delle donne, i manifestanti e i dissidenti che lottano per i diritti politici, economici, sociali e sessuali, e per i diritti dell’ambiente. Le attiviste per i diritti delle donne, in special modo le indigene, nell’indifferenza del mondo stanno lottando e morendo per proteggere le foreste, l'acqua e il suolo, vitali per la sopravvivenza delle loro comunità, ma anche per tutti noi. Combattono per preservare terre ancestrali dalla sottrazione o da un uso distruttivo da parte dello Stato o del settore privato, e per fermare la violazione dei diritti umani da parte delle industrie eoliche, minerarie, dell'acqua del legname, e per le condizioni di lavoro nelle fabbriche. ChipkoMovement
E proprio le donne sono le più colpite dalle repressioni e da leggi ingiuste: donne e ragazze in tutto il mondo continuano a vedersi negato l'accesso ai più basilari diritti economici e sociali – a partire dal diritto a un'educazione, al cibo e all'acqua; e non sono pochi i Paesi in cui non hanno diritto nemmeno all’integrità del corpo (venendo obbligate a orribili defomazioni o mutilazioni), o sono perfino punite per le violenze sessuali subite. In tutto ciò, le attiviste per i loro diritti, accusate di trasgredire alle regole sessuali e di genere assegnate loro dalle rispettive comunità, vivono costantemente in gravissimo pericolo di ritorsioni e assassinio da parte delle stesse autorità statali. Solo per fare alcuni esempi recenti: durante le proteste in Egitto molte attiviste (specie se esposte per i diritti delle donne) hanno subito aggressioni sessuali e fisiche per mano delle stesse forza di polizia, e, una volta arrestate, sono state forzate a test di verginità. In Honduras le attiviste transgender subiscono discriminazioni economiche, politiche e sociali e gli omicidi extra-giudiziali sono perpetrati o tollerati dallo Stato. In Iran le attiviste sono un bersaglio abituale dello Stato, che spesso le accusa di rappresentare una minaccia all'ordine morale e di agire in maniera sovversiva ai danni dell'integrità nazionale. E’ sotto gli occhi di tutti quanto avviene ovunque, dall’ Afghanistan all’Africa. L'impunità degli Stati per i crimini contro le donne, e contro le proprie popolazioni o paesi esterni, rappresenta un enorme ostacolo alla sconfitta della violenza di genere e alla piena realizzazione dei diritti femminili e per un vero progresso dell’intera umanità. Tralasciando qui le diverse forme che schiacciano le donne anche nei paesi democratici e che si definiscono evoluti: apparentemente non cruente, ma devastanti sul piano culturale e delle conseguenze sulle loro vite. 
donnaIndia-polizia

2. Violenza domestica e ruolo delle armi di piccolo taglio
La violenza domestica continua a colpire tutte le regioni del mondo, tanto che la maggior parte delle donne subisce violenza da parte di un partner nel corso della propria vita. Ma la proliferazione delle armi di piccolo taglio (tra cui pistole e coltelli), aumenta gravemente gli atti di violenza come espressione di mascolinità. Le statistiche mostrano che la presenza di una pistola in casa aumenta del 41% il rischio di uccisione di un familiare, rischio che sale alle stelle per le donne che già subiscono violenza da parte del partner. Molti paesi hanno introdotto legislazioni contro la violenza domestica, ma quasi ovunque devono ancora essere perfezionati i sistemi di protezione e servizi per le vittime, così come in molti paesi sono necessarie leggi contro la proliferazione delle armi. La dipendenza economica è uno dei fattori più gravi che costringe le donne a restare nelle case dove sono maltrattate: l’autonomia lavorativa femminile è dunque un imperativo per indebolire questa catena.

3. Violenza sessuale durante e dopo i conflitti
I conflitti armati aumentano gravemente la vulnerabilità di donne e ragazze in quanto, rispetto ai tempi di pace, crescono vertiginosamente stupri, schiavitù sessuale, mutilazioni, gravidanze e matrimoni forzati. Sono particolarmente a rischio le donne impegnate nella raccolta dell'acqua o della legna da ardere, quelle che vivono nei campi per i rifugiati (o nei loro pressi) oppure nelle aree dove hanno luogo gli scontri tra milizie ed esercito regolare. Nei luoghi dove si verificano lotte tra strutture di potere donne e ragazze vengono barattate o vendute per sedare dispute, per ripagare debiti o per migliorare relazioni sociali, politiche o d'affari. La violenza sessuale, nelle sue varie forme, è usata sia dalle milizie armate sia dalle autorità dello Stato come arma per instillare paura; ma perfino i soldati ed esponenti delle forze di peacekeeping si rendono spesso colpevoli di abusi o stupri nei campi per i rifugiati che dovrebbero proteggere, o ai danni delle donne locali.
Anche dopo la fine ufficiale dei conflitti la maggior parte delle donne continuano a pagare un caro prezzo per gli abusi subiti: non solo per le conseguenze fisiche e psicologiche, ma perché le tradizioni patriarcali e tribali, anziché soccorrere le donne violate, le stigmatizzano e puniscono come colpevoli, condannandole all’ostracismo da parte delle loro stesse famiglie e comunità.

La campagna dei 16 giorni invita tutti gli attivisti, in tutto il mondo, a premere per i diritti delle donne come condizione essenziale per l’applicazione di tutti i diritti umani: e a esercitare le più forti pressioni sui rispettivi Stati e Governi perché rispettino, proteggano e promuovano, con la dovuta attenzione, i diritti umani di tutte e di tutti.