Centinaia di anni di storia del diritto hanno portato gli Stati Uniti ad attuare un sistema che assicura che ogni persona coinvolta in un procedimento legale abbia l’opportunità di essere ascoltata. E’ certo che, a differenza di quanto accade in altre nazioni, non possiamo essere incarcerati senza la nostra giornata in tribunale o l’avvocato al nostro fianco. Questo è il paese in cui viviamo: così civilizzato, così ben progettato. Dio benedica l’America.

Ma c’è una minoranza dimenticata cui non sono concessi questi diritti fondamentali. E non parlo di criminali o stranieri. Al contrario, è un gruppo che tutti noi abbiamo a cuore – con innocenza e buone intenzioni, senza che si possa pensare a reconditi progetti o contorte motivazioni: i bambini.

 Gli “interessi” dei bambini sono rappresentati dagli adulti. I bambini non hanno la possibilità di esprimersi e contro i progetti degli adulti non hanno alcun potere.

Un esempio? Io.

I miei genitori si sono separati quando avevo 5 anni, scatenando una battaglia per la custodia che durò nove anni. Non ho mai avuto dubbi, volevo stare con mia madre. Mio padre, Marshall Krause, è un genitore abusante, vivere con lui era un inferno, fisico e psicologico, e sicuramente non era nel mio interesse. Eppure, per il Tribunale di Marin, questo sembrava essere irrilevante.

La mia esperienza del tribunale è che si compone di avvocati, giudici, valutatori e assistenti sociali che hanno voltato le spalle alla loro coscienza e alla deontologia professionale. Hanno lavorato non solo contro i miei interessi, ma contro la mia salute e la mia sicurezza.

Mio padre, un avvocato ricco e con amicizie importanti, ha usato la sua influenza e il suo denaro per manipolare il sistema. Ma non ce l’avrebbe fatta da solo. Il consulente nominato dal tribunale, Edward Oklan , MD, era sotto il suo incantesimo ed ha ignorato i miei racconti su come mio padre abusasse di stupefacenti e di me. L’avvocato incaricato di rappresentare i miei interessi,  Sandra Acevedo, ha trascorso il suo tempo con me ripetendo a pappagallo le parole di mio padre, cercando di convincermi che sotto sotto volevo vivere con lui. Ha ignorato le mie segnalazioni di abusi. E la terapeuta che mio padre ha scelto per me, Lana Clark, LCSW , era tutt’altro che oggettiva – era la sua amante.

Il giudice, Sylvia Shapiro-Pritchard, una sua amica di lunga data, ha ammesso di essersi limitata a timbrare ogni sua richiesta. Ho scritto lettere al giudice, ho chiamato il suo ufficio e ho fatto tutto il possibile per farmi sentire. Lei ha ignorato le mie suppliche. Non avevo diritti. Non potevo sostituire il mio avvocato con uno che avrebbe parlato per me, né potevo testimoniare in tribunale. Non potevo contestare i consulenti del tribunale né i terapeuti e le loro valutazioni non potevano essere impugnate. Mi sentivo come un testimone del procedimento dalla parte sbagliata del vetro insonorizzato.

Mia madre faceva del suo meglio, ma era come Davide contro Golia – tranne che, nella mia storia, lei non aveva nemmeno una fionda. Dopo anni di lotta durante i quali non ha guadagnato nulla ma ha perso tutto in spese legali, ha dovuto lasciar perdere per rimettere insieme i cocci della sua vita, nella speranza che un giorno avrei potuto uscirne da sola.

Mentre vivevo con mio padre, ho fatto quello che potevo per sopravvivere. Ho presentato nove relazioni ai Child Protective Services e ho chiamato diverse volte la polizia nel corso degli anni, senza alcun risultato. Mi hanno sempre risposto che senza testimoni o contusioni non potevo dimostrare che stavo subendo degli abusi.

Infine, un giorno mio padre mi scagliò contro un muro di pietra, a scuola, e un insegnante ha chiamato i Child Protective Services.

Mio padre non ha detto nulla, ma era nel panico. Aveva lavorato così duramente per costruire una delicata rete di bugie e verità contorte allo scopo di presentarsi come il genitore ben intenzionato, tormentato da una ex-moglie instabile che aveva causato alla figlia la sindrome da alienazione genitoriale, causa dei miei deliri sugli abusi subiti. 

Agì in fretta, aveva il mio terapeuta, la sua amante, che improvvisamente decise ero pericolosamente turbata e necessitavo di essere rinchiusa. Così io, una ragazzina di 11 anni che non aveva mai provato sesso, droga o alcol, né mai era stata coinvolta in una rissa,  mi sono ritrovata in una struttura con 17enni, membri di bande e accusati di narcotraffico. Sono stata picchiata, insultata e mi hanno impedito di comunicare con il mondo esterno. Sono stato costretta a terapie che miravano a farmi  il lavaggio del cervello, volevano convincermi che mia madre era pazza, che il fatto che mio padre fosse dipendente dalla droga, i suoi abusi, era tutto solo nella mia testa.

Quando ho capito la verità non mi avrebbe portato a nulla, ho mentito e ripetuto a pappagallo le loro parole. Mi ci sono voluti sei mesi per convincerli ero “guarita”. Trattenermi dal dire la verità è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto.

Dopo la mia liberazione, mio padre, per fortuna, mi ha spedito in un bel collegio. Quei due anni ci sono stati i più belli dopo la separazione da mia madre.

Quando sono tornata a vivere con lui, a 13 anni, non ne potevo più. Sapendo che non avrei mai trovato giustizia a Marin, sono scappata, sperando di trovarla altrove. Sono finita a Los Angeles. Il Tribunale per i minori di Los Angeles ha preso in carico il mio caso e mi ha messo in una casa sicura. Investigatori e consulenti hanno dichiarato mia madre idonea e mio padre pericoloso. Mio padre ha assunto un avvocato costoso e ha provato ad usare i suoi vecchi trucchi, ma stavolta il giudice non c’è cascato. Mia madre ha ottenuto l’affido esclusivo e le visite di mio padre dipendevano dalla mia volontà.

A Los Angeles ero parte in causa nel mio caso, mentre a Marin ero considerata solo una pedina nella battaglia dei miei genitori. Los Angeles era un paradiso.

La pratica di cercare di accertare ciò che è nel migliore interesse del bambino esiste perché si presume che i bambini non possano parlare per se stessi. Eppure, a 11 ero in grado di parlare. Avevo un cervello e delle opinioni, ma nessuno sembrava curarsene. Il giudice ha negato il mio diritto alla rappresentanza legale, assegnandomi un avvocato che si rifiutava di rappresentare la mia verità. Certo, non vi è alcuna garanzia che ascoltarmi avrebbe ispirato il giudice ad indagare le sue reali motivazioni, a riflettere sull’influenza addebitabile al suo rapporto personale con mio padre, ai suoi pregiudizi, ma chi lo sa? Almeno la mia testiomonianza sarebbe rimasta fra i documenti del Tribunale.

Il mio diritto come americana è quello di avere un avvocato nei procedimenti giudiziari, ma quando il mio avvocato ha ignorato le mie richieste questo diritto è stato calpestato. Nessun americano dovrebbe essere rinchiuso senza processo davanti ad una giuria di pari,  ma è proprio questo che succede ai bambini. Abbiamo un sistema elaborato per tenere gli adulti innocenti fuori di prigione, ma nessun sistema per impedire che i ragazzi siano ingiustamente internati in ospedali psichiatrici e riformatori.

I bambini non sono parti in causa in un divorzio – siamo proprietà da dividere.

Eppure i bambini sono persone.

Come cittadini, abbiamo il diritto di pretendere che siano rispettati i nostri diritti umani e legali.

E quando quegli adulti che dovrebbero parlare per noi falliscono, abbiamo bisogno di strumenti che ci permettano di difenderci.

Alanna Krause , scritto a 16 anni

Fonte: http://www.courageouskids.net/

Per ulteriori dettagli: Girl, interrupted

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