Oh, dire il desiderio profondo di raccoglimento, di ritiro, di «non occupatevi di me» che mi viene direttamente, in modo inflessibile, dalla pena, quasi «eterna» – raccoglimento così vero, che le piccole inevitabili battaglie, i giochi d’immagini, le ferite, tutto ciò che accade fatalmente dal momento in cui si sopravvive, non sono altro che schiuma salata, amara, sulla superficie di un’acqua profonda...

Roland Barthes scrive questo, e molto altro, nel Diario del lutto seguito alla morte della madre. Fa bene e male leggerlo: bene come in tutti i testi che consentono un rispecchiamento, male perché rinnova il dolore per l'assenza, allo stesso modo in cui lo rinnova il bellissimo, appena uscito in Italia, Una donna di Annie Ernaux.

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